Rubbia, così perdiamo il treno del sole

Eravamo all' avanguardia, ma oggi stiamo perdendo il treno del solare di ultima generazione. E per di più andiamo ad offrire le nostre conoscenze ai cinesi prima ancora di averle applicate in Italia. A quasi un anno dalla cacciata di Carlo Rubbia dall' Enea, il premio Nobel denuncia l' affondamento sistematico dei suoi progetti pionieristici sul solare termodinamico, che ora il fisico goriziano è stato chiamato a realizzare in Spagna. E le contraddizioni della nuova gestione. La delegazione con cui Luigi Paganetto, nuovo commissario dell' Enea, ha firmato qualche giorno fa un accordo per realizzare in Cina impianti basati sul prototipo di centrale solare costruita da Rubbia alla Casaccia, aveva già bussato più di una volta alla porta dell' Enea sotto la gestione precedente, ottenendo risposte interlocutorie. «Prima di esportare la nostra tecnologia laggiù – spiega il premio Nobel – volevamo passare alla fase di produzione su scala industriale, per aprire la strada a una filiera energetica made in Italy». A questo fine doveva servire il cosiddetto progetto Archimede, un impianto siciliano in provincia di Siracusa, a Priolo, dov' era già avviata in collaborazione con l' Enel l' applicazione a livello industriale del nuovo solare termodinamico, che cattura l' energia con gli specchi parabolici, invece che con i pannelli fotovoltaici, per immagazzinarla in un fluido salino. Quell' impianto – che oggi potrebbe essere già in funzione – non è mai partito. Tre anni di ricerca e sviluppo per arrivare alla prima centrale solare termodinamica made in Italy sono stati buttati al vento per beghe di cortile: la realizzazione della «terza via delle energie rinnovabili», molto più efficiente del solare fotovoltaico, è stata osteggiata in tutti i modi. L' Enel e l' Enea sono ancora in attesa di un provvedimento ministeriale, in assenza del quale il progetto Archimede non ha le necessarie garanzie di sostenibilità economica. E ora il Nobel Carlo Rubbia è andato a fare in Spagna quel che in Italia non gli è stato consentito di realizzare. «Il grande progresso degli ultimi anni, introdotto con il modello Archimede – precisa lo scienziato-manager – è stato quello dello sviluppo dell' accumulo termico del calore solare prodotto, cioè il passaggio intermedio del calore dagli specchi ad un contenitore isolato termicamente ad alta temperatura (quattro-cinquecento gradi centigradi). L' energia viene poi trasferita all' utilizzo industriale, ma solamente quando sia necessario e con una continuità che prescinda ad esempio dal ciclo giorno-notte o dal passaggio delle nubi». Al posto del vecchio olio infiammabile e inadatto alle alte temperature, l' impianto di Priolo doveva usare – e sarebbe stato il primo al mondo – una miscela di sali fusi capace di riscaldarsi molto di più e di accumulare energia in modo da renderla disponibile in ogni momento. Per decollare, però, il solare termodinamico aveva bisogno di essere equiparato per legge al fotovoltaico, in modo da concedere un prezzo incentivante anche all' energia così prodotta. «Abbiamo atteso questa legge un anno e mezzo – ricorda Carlo Rubbia – ma non è mai arrivata». Nel frattempo gli spagnoli, sollecitati dall' impulso della nuova sperimentazione italiana, avevano adeguato la loro legislazione e hanno invitato Rubbia a portare avanti il suo progetto a Madrid. Così, in settembre, il fisico italiano si è installato al Ciemat, il centro di ricerca spagnolo corrispondente all' Enea, dove i risultati non si sono fatti attendere. «Grazie a una normativa opportuna, approvata in Spagna nel 2004, e purtroppo tuttora assente in Italia, gli impianti solari spagnoli sono economicamente vantaggiosi: perciò vengono finanziati totalmente con capitale privato dall' industria. Sono in rapida crescita in diverse regioni del sud della Spagna, dove esiste una ricca insolazione, tipica delle regioni mediterranee. La potenza installata prevista nei prossimi anni è di una trentina di impianti dell' ordine di circa millequattrocento megawatt elettrici continuativi, di cui tre sono già in fase di costruzione». Un tipico impianto spagnolo da cinquanta megawatt – partecipato da tutti i giganti del settore, da Iberdrola a Abengoa, da Acs a Acciona – copre una superficie di un chilometro quadrato di specchi e costa circa duecentocinquanta milioni. «Tanto per intenderci – commenta Rubbia con un sorriso – con questo sistema basterebbe usare il tre per cento della superficie disponibile nel meridione della Spagna per soddisfare tutto il fabbisogno di energia elettrica del Paese». Dal punto di vista scientifico, che un impianto di rilevanza mondiale venga realizzato in un Paese piuttosto che in un altro non cambia nulla: sono solo i posti di lavoro creati da questa filiera che si spostano. E, anche se indirettamente, innovazioni come questa aumentano comunque la capacità attrattiva e il prestigio di un Paese. «Ma sul ruolo strategico del solare per l' Italia – precisa Rubbia – andrebbe aperta una seria riflessione: la quantità di sole che cade sul nostro Paese non è inferiore a quella dei nostri vicini e con un' adeguata volontà politica, si sarebbe potuto realizzare un programma di vasto respiro, così com' è accaduto in Spagna. Invece noi ci avviamo a una dipendenza quasi totale dell' importazione energetica dall' estero. Vogliamo accettarla? Se invece vogliamo dotarci di risorse endogene, va compiuto uno sforzo a livello nazionale in tal senso, con mezzi, uomini, finanziamenti adeguati». Per ora succede esattamente il contrario. Da un lato, gli attuali vertici dell' Enea hanno più volte affermato che la sperimentazione di Rubbia sul solare termodinamico è stata un fallimento. Dall' altro firmano un accordo con il governo di Pechino per esportare questa stessa tecnologia in Cina, in occasione delle Olimpiadi che si terranno nel 2008. Delle due l' una: o siamo in presenza di un progetto fallimentare, oppure si tratta di una tecnologia valida, che all' estero ci invidiano e non si stancano di chiederci. E, a giudicare dall' insistenza dei cinesi, sembrerebbe più vera la seconda ipotesi. «In Cina – commenta Carlo Rubbia – le risorse solari sono vastissime e i costi di costruzione imbattibili. Queste sono tecnologie molto semplici e facilmente riproducibili in casa loro. In più i cinesi hanno un grandissimo bisogno di energia». Resta da chiedersi: se il progetto Archimede era così semplice e vantaggioso, perché il solare termodinamico non è riuscito a farsi strada qui da noi? «Certamente non per colpa mia – replica il premio Nobel – la risposta dovrebbero darla coloro che si sono pubblicamente opposti al progetto». CHI È Carlo Rubbia Carlo Rubbia (72 anni, nella foto) laureato in Fisica alla Normale di Pisa, ha studiato alla Columbia University, al Cern di Ginevra, al Fermilab di Chicago e ha vinto il Nobel nel 1984, sviluppando una macchina acceleratrice molto potente con cui ha osservato nuove particelle subatomiche. È stato presidente dell' Enea fino all' anno scorso.

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