Rete elettrica: pubblica o privata?

Con la riforma Marzano delle politiche energetiche ancora ferma al Senato, la partenza della Borsa elettrica che subisce uno slittamento dopo l' altro e le incertezze normative che frenano la costruzione di nuove centrali, nel mercato elettrico italiano avanza solo la privatizzazione di Terna, rete ad alta tensione di cui Enel deve progressivamente disfarsi per ottemperare all' obbligo di scindere la produzione dalla trasmissione. «Un passo obbligato e opportuno, anche se ho i miei dubbi che una privatizzazione integrale sia compatibile con la sicurezza del sistema», commenta Bruno Tabacci, presidente della Commissione Attività Produttive della Camera, che spezza una lancia a favore del controllo pubblico delle reti. Con il via libera del consiglio di amministrazione dell' Enel, il collocamento di metà di Terna è partito, ma l' orientamento sull' unificazione della rete con il Grtn (il gestore della rete, oggi in capo al ministero dell' Economia e candidato al matrimonio con Terna), deve ancora essere perfezionato con l' approvazione della riforma Marzano. Questo ritardo non sta diventando preoccupante? «Molto preoccupante. Il provvedimento non sta seguendo un percorso lineare al Senato. Così rischiamo di complicare il terzo passaggio alla Camera, dove la riforma dovrà comunque ritornare. Quanto all' unificazione del Grtn con Terna, avverrà sicuramente dopo la quotazione per garantire la massima trasparenza al momento del collocamento. Il progressivo scorporo della rete da Enel e la contestuale unificazione col Grtn sono una buona cosa, perché promuovono la concorrenza in un mercato ancora tutto da sviluppare e risolvono il conflitto d' interessi del proprietario della rete con il suo gestore. Quando la privatizzazione andrà a regime, anzi, sarebbe auspicabile anche un' unificazione con Snam Rete Gas. Ma alla lunga sarebbe opportuno l' ingresso di un azionista neutrale, tipo Cassa depositi e prestiti, che tenga in mano il comando del sistema». Resta il fatto che alla liberalizzazione mancano molti tasselli: la partenza della Borsa, considerata essenziale dagli operatori, slitta ormai da mesi… «Naturalmente l' avvio della Borsa è importante, ma bisogna rendersi conto che è difficile costruire un mercato efficiente in presenza di una carenza di offerta, come quella in cui ci troviamo oggi. È per questo che la partenza viene continuamente rinviata. Inoltre se i contratti bilaterali diventeranno prevalenti rispetto ai volumi scambiati sul mercato, la Borsa elettrica sarà una borsetta priva di qualsiasi rilevanza. Per dar fiato agli scambi bisognerebbe incrementare l' offerta, costruendo nuove centrali o potenziando quelle esistenti, e convogliare il più possibile l' energia disponibile verso la Borsa». Due argomenti scottanti. Da un lato le oscillazioni normative che intralciano i progetti e scoraggiano gli investimenti, dall' altro la mancanza di trasparenza sul fronte dell' offerta – ad esempio con il regime cosiddetto Cip6 o con gli incentivi ai clienti interrompibili – rischiano di bloccare la liberalizzazione del mercato. «I contrasti fra Stato ed enti locali sulle centrali sono un grave ostacolo all' incremento dell' offerta: l' energia non dovrebbe essere materia inclusa nell' articolo 117 della Costituzione, che ho anche proposto di modificare su questo punto. Almeno le centrali sopra i 300Mw dovrebbero essere considerate alla stessa stregua delle grandi infrastrutture e sottoposte solo alla potestà statale». E sulla questione del Cip6? «La Commissione attività produttive ha già invitato il governo a cambiare strada. Il Cip6 garantisce una tariffa molto più alta dei valori di mercato all' energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e "assimilate", per incentivare la tutela dell' ambiente. Ma le fonti assimilate non sono altro che fonti convenzionali mascherate, con grande apporto di idrocarburi, che hanno ormai quasi completamente fagocitato gli incentivi, coprendo il 13-14% della produzione nazionale (le vere rinnovabili non superano il 4%). In questo modo noi dichiariamo di ottemperare all' accordo di Kyoto e invece non è vero. Ma a quale titolo può essere imposta ai cittadini e alle imprese una tassa occulta a favore dei produttori di energia da fonti assimilate stimata in oltre 30 miliardi di euro in 15 anni?». E gli incentivi ai clienti interrompibili? «Non quadrano. Bisognerebbe distinguere gli interrompibili veri da quelli finti e smettere di concedere sussidi immotivati a chi è interrompibile solo di nome». Insomma questa liberalizzazione pesta troppi piedi per aver vita facile. Che cosa bisognerebbe fare per darle una spinta? «Bisogna avanzare con decisione sulla strada delle privatizzazioni, introdurre maggiore flessibilità nelle autorizzazioni ai nuovi impianti e rendere più chiari i rapporti nella catena di comando del sistema».

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