La sfida dell’Eni per l’efficienza energetica

Stavolta non si tratta di estrarre petrolio o gas dalle viscere della terra in condizioni estreme, ma la sfida è altrettanto ardita. L'Eni parte per una missione impossibile: battere con il suo nuovo Green Data Center i più ambiziosi parametri di efficienza energetica a livello globale, spostando ancora più in là l'asticella della sostenibilità nell'information technology. Il cantiere appena aperto nell'area della centrale di Enipower di Ferrera Erbognone, non lontano da Pavia, rappresenta un unicum in Italia: nel giro di un anno qui sorgerà il più grande centro di elaborazione dati della penisola, uno dei più potenti d'Europa e sicuramente il più meridionale di questa taglia. L'impianto ospiterà tutti i sistemi centrali di elaborazione del Cane a sei zampe a livello mondiale: in totale 7000 sistemi, con più di 60mila processori, con assorbimenti energetici fino a 30 megawatt di potenza, in uno spazio di 5.200 metri quadri, su una superficie lorda di quasi 45mila.

La decisione di collocare la struttura accanto a una centrale elettrica è venuta naturale, dati i consumi. E questo è il primo elemento di sostenibilità, oltre che di sicurezza delle forniture di energia, perché elimina la quota di dispersioni derivanti dal trasporto in rete, in media il 5-6%. La decisione di collocarlo in Italia e in Pianura Padana rende la sfida più estrema: gli altri data center verdi sono tutti più a Nord o più in alto, in aree del mondo dove fa meno caldo. Il passo successivo è stata la concezione architettonica. Il problema fondamentale di un data center è il calore e la soluzione sta in un edificio "passivo", dove il raffrescamento avvenga per vie naturali.

Tante macchine in funzione una accanto all'altra, infatti, scaldano moltissimo, per cui di norma un data center tradizionale tiene sempre accesi i sistemi di condizionamento, 24 ore su 24, in tutte le stagioni dell'anno. Questa è la voce principale dei suoi consumi elettrici. Al secondo posto c'è la ventilazione. Al terzo la distribuzione elettrica, compresi i trasformatori, i gruppi di continuità e le dispersioni interne. Infine l'illuminazione. Tutte queste componenti si aggiungono al fabbisogno dei cervelloni e contribuisono in maniera determinante al consumo totale di energia. Per un data center moderno, è già un buon risultato contenere il fabbisogno dell'edificio allo stesso livello dei consumi delle macchine. In termini tecnici, secondo la definizione standard dell'ente internazionale GreenGrid, questo significa avere una Power Usage Effectiveness (Pue) pari a 2: posta come 1 la potenza richiesta per i cervelloni, la struttura complessivamente consuma il doppio. In un data center di concezione antiquata il Pue è sempre superiore a 3, la media globale è 3,3. Per un data center in cui i server hanno bisogno di 30 megawatt, come quello dell'Eni, significherebbe avere una potenza installata di 99 megawatt, sufficiente per dare corrente a un'intera città. Nei data center moderni, la tendenza è ridurre questo rapporto, ma ce ne sono pochi al mondo con un Pue inferiore a 2, pochissimi riescono a scendere sotto 1,5. Google, nel suo ultimo nato, è arrivata a 1,27. L'Eni punta a scendere ancora, sotto 1,2. Il che significa che la potenza necessaria per far funzionare tutta la struttura di Ferrera Erbognone non sarà superiore a 36 megawatt. Rispetto alla media globale, questo consentirà un taglio di 63 megawatt di potenza e di 551 gigawattora di consumi, con una riduzione di emissioni di CO2 di quasi 335mila tonnellate all'anno, equivalente alle emissioni prodotte dai consumi elettrici di 150mila famiglie.

Come? In primis, con una progettazione intelligente dell'edificio. La struttura sarà costituita da due corpi perfettamente simmetrici, distanti 20 metri e interrati – tranne il corridoio centrale che li separa – fino alla quota di copertura, per mantenere gli ambienti più freschi. Il sistema di trattamento dell'aria è altrettanto innovativo. Con la tecnica del free-cooling, un sistema che utilizza direttamente l'aria esterna per raffreddare gli apparati informatici, si può tagliare radicalmente la voce principale di consumo: i condizionatori. E' un sistema già utilizzato da diversi data center di moderna concezione, ma nel caso del Green Data Center dell'Eni è stata aggiunta una caratteristica del tutto originale: sei grandi camini per la movimentazione dell'aria consentono un ricircolo a costo quasi nullo in termini energetici ed eliminano la necessità di aspirazione in uscita, tagliando sia i consumi di raffrescamento che di ventilazione. Questa scelta consentirà di tenere spenti i condizionatori per tre quarti del tempo, riservandone l'uso solo ai periodi più caldi del periodo estivo.

Un altro punto importante è la distribuzione di energia: nella progettazione architettonica si è spinto molto sull'ottimizzazione dei percorsi elettrici, lavorando in media tensione fino a pochi metri dal sistema di distribuzione finale ai server, dove si concentra gran parte della dispersione. Per i gruppi di continuità, che di solito restano sempre accesi ma vengono sfruttati solo raramente, la scelta è stata ancora più radicale: nel Green Data Center entreranno solo macchine di taglia media che operano off-line, quindi restano in stand-by e intervengono solo quando avviene un'effettiva discontinuità di alimentazione elettrica. La decisione è talmente innovatica che l'Eni ha dovuto farsi confezionare un prodotto su misura, visto che non era disponibile sul mercato. Le ricadute sul mercato di queste macchine si faranno sentire. E non basta. Sul mercato dei grandi server si cominciano a vedere macchine raffreddate ad acqua invece che ad aria. In questo caso, il calore dei sistemi informatici potrebbe essere facilmente sfruttato per scaldare altre strutture, come una serra o una vasca da piscicoltura. Per il Green Data Center potrebbe essere un passo ulteriore verso la sostenibilità.