Utilities, aggregazioni a rilento

"Aggregazioni secondo logiche industriali, non politiche. E privatizzazioni vere, non di facciata". Questo – secondo Renato Brunetta, consigliere economico di Palazzo Chigi – è l'obiettivo del governo nella battaglia delle utilities, che "rischia di finire come quella fra i capponi di Renzo", se non si darà un colpo di acceleratore ai processi di fusione in corso. La spinta a cui pensa il governo consiste in uno sconto fiscale sulle cessioni di quote delle ex-municipalizzate e in altri meccanismi per incentivare le privatizzazioni. "Stiamo inserendo nella finanziaria – spiega Brunetta – una serie di premi e punizioni per indurre gli enti locali a vendere quote, senza se e senza ma. La trasformazione delle ex-municipalizzate in Spa è stata un passo avanti, ma non si capisce perché i Comuni debbano restare proprietari delle Spa". Il forte divario fra la privatizzazione formale e sostanziale delle utilities è sottolineato anche dall'ultimo rapporto di Confservizi: le Spa, che erano 650 all'inizio del 2003, sono oggi 710, ma gli enti locali prevalgono di gran lunga come unici proprietari (73%) o come azionisti di maggioranza (23,6%), mentre solo una piccola percentuale (3,4%) ha optato per una quota minoritaria. E l'identificazione fra Comuni e aziende dei servizi pubblici fa da barriera alle aggregazioni: "La frammentazione degli operatori italiani è la più elevata in Europa – commenta Brunetta – e se non ci sbrighiamo a privatizzare fra di noi, arriverà qualcun altro di dimensioni ben più consistenti che lo farà a nostre spese". Fra le norme che Brunetta vuole ribaltare c'è anche il famigerato provvedimento, inserito nella finanziaria dell'anno scorso, che consente alle società pubbliche l'affidamento degli appalti senza gara. Sullo stesso punto batte anche Pier Luigi Bersani: “Prima di privatizzare bisogna liberalizzare, correggendo le norme illiberali che favoriscono le aziende pubbliche invece di stimolare la concorrenza. Prima viene la liberalizzazione, che spinge alla crescita e alle aggregazioni, poi la privatizzazione. Altrimenti si finisce per privatizzare i monopoli”. Secondo Bersani, il processo di liberalizzazione e privatixzzazione avviato con la riforma del mercato elettrico che porta il suo nome, “sta andando indietro, non avanti”. In effetti il processo di aggregazione delle utilities italiane, per ammissione di tutti gli attori interessati, fa fatica a scaricare la pesante zavorra del campanilismo e dei contrasti ideologici. Dopo l'aggregazione di Hera nel 2002 e la fusione fra Acegas (Trieste) e Aps (Padova) nel 2003, nel settore c'è sempre molto movimento, ma di accordi nero su bianco se ne vedono pochi. Comincia appena a prendere forma il maxi-polo delle utilities lombarde, promosso dal governatore Roberto Formigoni: le 21 aziende coinvolte nel progetto-pilota costituirebbero da sole il quarto operatore nazionale nel gas, il terzo nell'energia elettrica e il primo nel settore idrico e nell'igiene urbana. Per ora il modello Formigoni punta a una holding leggera e non coinvolge operatori nazionali come Edison, che invece rientrerebbe nella vecchia idea del “polo elettrico” alternativo a Enel con Aem Milano e Asm Brescia, su cui sta lavorando anche Mediobanca. Sul progetto, caldeggiato dal presidente della commissione Attività Produttive della Camera Bruno Tabacci, pesa però l'incognita Edf, che in primavera potrebbe diventare la padrona assoluta del secondo operatore elettrico italiano. E nel frattempo su Edison ha messo gli occhi anche il gruppo Endesa, il gigante spagnolo dell'energia – già alleato ad Asm Brescia nella conquista di Elettrogen – che considera l'Italia il suo principale mercato d'espansione. Mentre gli ex-monopolisti europei si danno da fare, sulla via Emilia la trattativa fra Meta (Modena) e le utilities di Piacenza, Parma e Reggio Emilia, sembrerebbe naufragata. E l'alternativa dell'alleanza con Hera ancora distante. Nel Nord-Est, la voglia di Nes (che doveva raccogliere otto municipalizzate partecipate da oltre 130 Comuni veneti e friulani) sta incontrando parecchie resistenze. Il tandem fra Vesta e Iris – le utilities di Venezia e Gorizia, forze trainanti del progetto – si scontra con le aspirazioni di crescita di Acegas-Aps, rivolte sia verso il Friuli che verso il Veneto. Dai friulani di Cafc, una pedina importante nel gioco di Nes, agli udinesi di Amga, dai veronesi di Agsm a Asco-Piave, le alleanze restano così in bilico. Continua invece il processo di avvicinamento fra l'Aem di Torino e l'Amga di Genova e sembrerebbe in dirittura d'arrivo il matrimonio fra Asm (Brescia) e Bas (Bergamo). Ma non è mai detta l'ultima parola. Bas sembrava già convolata a giuste nozze con l'Acsm di Como, quando un ribaltone politico ha rimesso tutto in discussione. E da qui emerge la debolezza di fondo di queste alleanze: finché si tratterà di imparentamenti basati sulle affinità elettive dei sindaci di questo o quel colore e non sulle logiche industriali, sarà difficile approdare a risultati seri e duraturi.

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