Biotech, la salvezza della medicina

Ci sono voluti trent' anni di ricerche, ma ora la lenta rivoluzione del biotech sta arrivando a maturazione. Lo dice l' ultimo rapporto di Ernst & Young. Lo dimostrano le major farmaceutiche, che stanno cercando di fare man bassa in questo settore. E lo conferma George Morrow, numero due di Amgen, la più grossa azienda biotech del mondo, alleata in Italia con Dompé. «Metà dei farmaci approvati dalla Food and Drug Administration l' anno scorso erano di origine biologica», spiega Morrow. Nelle malattie più gravi, come il cancro, ormai quasi tutti i 400 prodotti attualmente in fase di test su pazienti a livello mondiale sono medicine biotecnologiche molto specifiche, che evitano i terribili effetti collaterali della chemioterapia. Tredici dei farmaci biotech più venduti al mondo sono dei blockbuster che, da soli, garantiscono incassi superiori al miliardo di dollari all' anno. Di questi, cinque sono prodotti da Amgen, che nel 2004 ha fatto 10,6 miliardi di dollari di fatturato e 2,4 di utili (con 2 miliardi d' investimenti in ricerca). «Con l' ultima ondata di farmaci biotech anticancro – precisa Morrow – il più grande killer di questo secolo è stato ridotto, nella maggioranza dei casi, a una malattia cronica ma controllabile». Trent' anni di scoperte biologiche, di progressi nella mappatura del genoma umano e di manipolazioni sempre più esotiche ci hanno introdotto in questa nuova età dell' oro dei farmaci biotech, che sembra annunciare la fine dell' era delle pillole. «La differenza, rispetto alle medicine di sintesi, è che i farmaci biotech vengono sempre spinti dalla comunità scientifica, più che dalle esigenze commerciali: si tratta quindi di una rivoluzione medica, oltre che industriale», commenta Morrow. Non a caso la nascita di aziende biotech (ce ne sono oltre 1.800 in Europa, contro le 1.500 statunitensi) è spesso legata ai centri più avanzati di ricerca universitaria e segue lo sviluppo a rete tipico dell' attività scientifica. «Le migliori menti universitarie cercano lavoro da noi, perché noi rappresentiamo la nuova frontiera. A differenza delle major farmaceutiche, molto dipendenti da singoli farmaci a larga diffusione, noi cerchiamo di concentrarci sui bisogni insoddisfatti dei pazienti, anche se si tratta di esigenze settoriali. E risolvere i problemi dei pazienti, anche i più astrusi, è il primo obiettivo di chiunque abbia una formazione medica», sottolinea Morrow. Questa strategia paga: «Le major tradizionali hanno sempre meno prodotti promettenti in via di approvazione e cercano continue partnership con aziende biotech, imitando il nostro modello di sviluppo», commenta Morrow. Novartis, ad esempio, ha spostato il suo principale centro di ricerca dalla Svizzera a Cambridge (Massachusetts), mettendone a capo un ricercatore accademico, Mark Fishman di Harvard. Malgrado ciò, il 67% dei farmaci arrivati l' anno scorso ai test clinici nel mondo erano biotecnologici. Si tratta di prodotti sofisticati, quindi generalmente più costosi, perché va sempre garantita la massima qualità di stoccaggio, conservazione e somministrazione: «Produrre farmaci da organismi viventi è un processo molto più complesso rispetto alla farmacia tradizionale, sia per l' investimento iniziale nelle tecnologie di produzione, sia per i costi del materiale e le alte competenze necessarie», spiega Sergio Dompé, con cui Amgen sta sviluppando in Italia diversi farmaci. Sono molecole più grandi e delicate di quelle di sintesi, che vanno somministrate per via endovenosa o per iniezione, solitamente in un ambulatorio medico. Ma colpiscono molto precisamente nel segno, quasi senza effetti collaterali. E fanno baluginare la tanto agognata era della farmacologia personalizzata. «Restano però grandi differenze fra le diverse aree del mondo», precisa Morrow, che si occupa dello sviluppo internazionale del business di Amgen. Quasi l' 80% dei 17 miliardi riversati l' anno scorso dagli investitori sul settore sono finiti negli Stati Uniti. «Le differenze culturali e la diversa sensibilità delle amministrazioni pubbliche giocano un ruolo importante in questa corsa – fa notare Morrow. – Da noi in California lo Stato ha lanciato un bond da 3 miliardi di dollari per finanziare la ricerca sulle cellule staminali embrionali» . «Mentre in Italia al momento attuale – precisa Dompé – c' è la peggiore legge al mondo in questo campo, che non solo non finanzia, ma proibisce completamente la ricerca sulle cellule staminali degli embrioni».

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