Giappone: dallo tsunami alla fusione del nocciolo

La crisi nucleare giapponese si aggrava. Dopo le esplosioni verificatesi nei reattori 1 e 3 della centrale di Fukushima Daiichi, con relativa fuoriuscita di radioattività, è ora il surriscaldamento del reattore 2 a tenere il mondo con il fiato sospeso.

In questa unità, l'ultima esplosione non ha fatto saltare il tetto come negli altri casi e quindi potrebbe aver danneggiato le strutture interne di contenimento. L'acqua di mare che viene pompata continuamente per raffreddare il nocciolo, infatti, sparisce a una velocità superiore rispetto ai normali tempi di evaporazione, di conseguenza c'è il sospetto di una perdita dalla camera interna del reattore. L'altra ipotesi è che la temperatura sia talmente alta all'interno da far evaporare l'acqua molto più in fretta del previsto.

L'esplosione è da ricondursi, come negli altri casi, alla tendenza dell'acqua a dividersi in ossigeno e idrogeno, in presenza di metallo. L'idrogeno può esplodere al contatto con l'aria esterna, quando viene sfiatato per diminuire la pressione. Ma da qui a danneggiare la camera interna del reattore, ce ne corre. Il combustibile nucleare è contenuto in un rivestimento, che a sua volta è alloggiato in un cilindro d'acciaio chiamato "vessel". Attorno a questo c'è un'altra struttura blindata di cemento armato di spessore notevole, che resiste anche alle bombe atomiche. Poi c'è una terza barriera, a prova di bomba, che racchiude tutta l'area nucleare nel cemento armato speciale spesso un paio di metri. L'esplosione dell'idrogeno è avvenuta all'esterno di queste tre barriere.

L'azienda elettrica Tepco e l'Agenzia per la sicurezza nucleare nipponica (Nisa) ritengono che le strutture di contenimento del reattore non siano state danneggiate, ma è stato comunque chiesto l'aiuto dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica. Secondo la Nisa, le possibilità di un'estesa fuga di vapore radioattivo dalla centrale sono "estremamente basse", mentre l'Aiea ha per il momento classificato l'incidente di Fukushima al livello 4 della scala Ines (nessuna contaminazione radioattiva dell'ambiente circostante ma danni a cose e persone a diretto contatto con la camera di sicurezza del reattore).

In realtà, dopo l'ultima esplosione questa classificazione non è più corretta, perché sono stati registrati livelli pericolosi di radioattività nel giro di 30 chilometri dalla centrale e picchi anomali anche a Tokyo, a 250 chilometri di distanza, seppure non pericolosi per la salute umana.

Nel cuore del reattore, intanto, la temperatura continua a salire. L'azienda elettrica Tepco ha ammesso che il processo di raffreddamento non si è ancora stabilizzato e quindi le barre di combustibile del reattore 2 sono state esposte per tre volte, con inizio di fusione del nocciolo. Probabilmente anche nelle unità 1 e 3 le barre sono state esposte per un certo tempo. Bisognerebbe sapere quanto tempo è durata l'esposizione per capire se siamo arrivati alla fusione del nocciolo. Questo avviene se il sistema di raffreddamento non riesce a star dietro alle perdite d'acqua dovute all'evaporazione (o altro) e la temperatura all'interno del vessel diventa così alta da danneggiare o disallineare le barre di uranio e grafite spesse un centimetro, che bombardate di neutroni producono calore. La fissione allora diventa incontrollata e nel giro di qualche ora porta alla fusione. "Non possiamo controllare se sta accadendo, ma è probabile", ha detto il capo di gabinetto del governo di Tokyo, Yukio Edano.

Una fusione del nocciolo non è ancora la peggiore delle ipotesi. Nel caso dell'incidente di Three Mile Island, il nocciolo fuso è rimasto all'interno del vessel, senza far danni all'esterno. Con la fusione, però, le barre di uranio possono raggiungere temperature fino a duemila gradi, nel qual caso potrebbero bucare le barriere di contenimento e sprofondare nel terreno, rilasciando nell'ambiente quantità massicce di materiale radioattivo. Questa è la peggiore delle ipotesi. Sarebbe la prima volta nella storia. Per evitarlo, bisogna puntare a riprendere il controllo del processo di raffreddamento, sperando che le barriere di contenimento tengano fino a quando la temperatura nel vessel comincerà a diminuire. E' quello che i tecnici giapponesi stanno cercando di fare.