Fonti pulite e incentivi: nel 2012 il nodo viene al pettine

L'energia verde batte la crisi. La corsa delle fonti rinnovabili è una delle poche storie di successo dell'economia globale in questa difficile congiuntura. Con 211 miliardi d'investimenti a livello mondiale, nel 2010 eolico, fotovoltaico e bioenergie hanno battuto per il terzo anno consecutivo gli investimenti nelle fonti fossili. In Italia, con un giro d'affri di 13 miliardi raddoppiato nell'ultimo biennio, il fatturato delle fonti pulite supera ormai l'1% del Pil. Ma la crescita di questo comparto grava pesantemente sulle tasche dei consumatori, con un impatto che nel 2011 arriverà a 4,8 miliardi di euro e che contribuisce a tenere il nostro prezzo dell'energia più alto del 25-30% rispetto alle meedie europee. Di più, la cifra complessiva che pagheremo in bolletta per promuovere le fonti rinnovabili è destinata a lievitare fino a 10-12 miliardi di euro all'anno da qui al 2020, secondo i calcoli dell'Authority, per poi calare progressivamente con la graduale eliminazione degli aiuti.

Gli incentivi servono per sostenere la crescita delle fonti pulite, che fanno fatica a competere in campo aperto con i combustibili fossili, penalizzate da tecnologie non ancora mature. Un kilowattora generato dal vento, ma soprattutto dal sole, costa ben di più di un kilowattora generato dal carbone o dal gas, e pone un problema di affidabilità con la sua intermittenza. Ma presenta altri vantaggi: non inquina e non si deve importare dall'estero, riducendo la nostra grave dipendenza energetica da Paesi inaffidabili. Per di più, non è soggetto all'altissima volatilità del mercato delle materie prime, che in questi anni ci ha riservato soltanto brutte sorprese. E' per questo che l'Unione Europea ha deciso di puntare molto su queste fonti e ha elaborato la strategia 20-20-20, che anche l'Italia deve applicare. Di conseguenza, nel 2020 le fonti rinnovabili dovranno coprire il 17% dei consumi energetici nazionali, in base alle direttive di Bruxelles. Il che si traduce in un obiettivo del 29% per i consumi elettrici, del 16% per il riscaldamento e del 6% per i trasporti. In pratica, da qui al 2020 il mix elettrico italiano dovrà essere coperto per quasi un terzo da fonti rinnovabili, pena multe salate dalla Commissione.

L'Italia è già a buon punto nel suo percorso: nel 2010 le fonti rinnovabili hanno coperto il 23% della nostra produzione elettrica, 70 terawattora su 300 complessivi, di cui oltre 40 prodotti dal cosiddetto "idroelettrico storico", quello delle grandi dighe, e meno di 30 dalle "nuove" rinnovabili. Per adeguarsi agli obiettivi comunitari, le fonti pulite devono arrivare a una produzione di 98 terawattora nel 2020, il 29% dei consumi elettrici nazionali previsti in quel momento. Considerando che il vecchio idroelettrico non è più espandibile, tutta la crescita è affidata alle nuove fonti. La produzione di eolico, fotovoltaico e bioenergie dovrebbe quindi raddoppiare in meno di dieci anni.

Ma per ora la corsa non è omogenea e viaggia con un doppio pedale. Mentre i generosi sussidi al fotovoltaico hanno scatenato un vero e proprio boom in questo settore, le altre fonti rinnovabili stanno crescendo più lentamente. Il fotovoltaico arriverà a toccare i 12 gigawatt installati a fine 2011, partendo da 1 gigawatt all'inizio del 2010: in due anni l'energia del sole nostrana è avanzata di 11 volte, mettendo a segno uno sviluppo superiore a quello della Germania, leader mondiale del fotovoltaico, con 23 gigawatt previsti a fine anno. Grazie a questo balzo, l'Italia è diventata campione mondiale nelle installazioni di nuovi pannelli, attirando una valanga di investimenti dall'estero. Per l'anno prossimo la crescita subirà per forza una frenata e le previsioni delle associazioni di categoria non vanno oltre i 3 megawatt installati, anche a causa della progressiva riduzione degli incentivi.

Sugli altri fronti, invece, il 2011 ha segnato un brusco rallentamento, soprattutto per l'eolico, che fino al 2009 cresceva a colpi di 1,2 gigawatt all'anno, ma quest'anno non andrà oltre i 6-700 gigawatt installati, chiudendo il 2011 a quota 6,5 gigawatt. "Di questo passo non riusciremo a centrare il target di 13 gigawatt al 2020, fissato dal piano di sviluppo del governo per ottemperare agli obblighi 20-20-20", fa notare il presidente dell'Associazione Nazionale Energia del Vento, Simone Togni, che comunque colloca le potenzialità eoliche della penisola ad almeno 16 gigawatt, quindi un po' più in là del target stabilito dal governo.

Il motivo del rallentamento è presto detto: mancano i decreti attuativi alla legge approvata in marzo, che serve ad applicare le indicazioni europee sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Mentre sul fotovoltaico il legislatore si è dato una mossa, varando i decreti attuativi in gran fretta per evitare un grave vuoto normativo, sulle altre fonti se l'è presa comoda e i decreti, che dovevano arrivare entro settembre, non si sono ancora visti. Di conseguenza, non si sa ancora quale remunerazione porteranno gli investimenti nell'eolico e nelle bioenergie dall'anno prossimo, dopo la scadenza degli incentivi attuali. E le banche non danno più finanziamenti a chi vuole investire in questi settori. Tanto che le imprese italiane dell'eolico, disturbate da tanta incertezza, vanno all'estero: nei primi nove mesi del 2011 addirittura il 71% degli investimenti in nuovi impianti è stato fatto fuori dai confini della penisola. Era il 30% nel 2010. Così, nell'anno in corso solo il 26% dei megawatt che portano la firma del made in Italy è stato allacciato alle nostre reti energetiche, secondo una ricerca di Althesys. Per il nuovo governo, è uno dei nodi che stanno venendo al pettine: fra i 300 decreti attesi dalle imprese ci sono anche questi. "Spero di avere i decreti pronti entro la metà di gennaio", anche "per facilitare gli investimenti", ha assicurato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, nella sua prima audizione alla Camera.

L'incertezza è aggravata dalla mancanza di un Piano Energetico Nazionale, che latita da vent'anni e che il governo Berlusconi aveva annunciato come "imminente" l'ultima volta nel settembre scorso, ma di cui non si è mai vista traccia. Per riattivare gli investimenti nelle infrastrutture energetiche, il nuovo governo dovrà quindi andare al di là degli incentivi, fornendo alle imprese – che nell'ultimo biennio hanno visto cambiare per ben sei volte la legislazione in materia di sostegno alle rinnovabili – una cornice di obiettivi chiari di lungo periodo, su cui potersi appoggiare per guardare un po' più lontano, dato che l'orizzonte temporale nel mondo dell'energia è sempre spostato molto in là, ben oltre i confini di una legislatura, per la natura stessa degli impianti che si vanno a realizzare. In questi primi giorni di gennaio il nodo arriverà al pettine.

  • Lorenzo |

    Non abbiamo le palle!, è esattamente il contrario.
    Perché i produttori di elettricità pagano di più caro il gas, cioè più dei cittadini, imprese e della categoria degli ‘energivori’?
    Quel divario di circa 4-6 centesimi di euro per metro cubo venduto ai produttori del gas permette sicuramente un buon guadagno per l’ENI.
    E ancora. Un prezzo più elevato dell’elettricità, legato per almeno il 50% al prezzo del gas, non può dare un significativo surplus soprattutto all’Enel che nel suo parco di produzione elettrica ha solo il 20-25% di centrali a ciclo combinato?
    Se questo è vero, quanto ci rimettono i consumatori di energia elettrica, che tutti con grande solerzia vogliono proteggere dagli eccessivi costi delle rinnovabili?
    E’ un luogo comune che il kWh in Italia costi tanto solo a causa degli incentivi per le rinnovabili.
    Meglio vedere quanto incide il costo del gas per i produttori di elettricità e limare altri oneri di sistema.
    Noi siamo bravi a prendere a paragone l’Europa e in particolare la Germania quando ci fa comodo, sia nel bene che nel male, a seconda ripeto la nostra convenienza.
    Spesso il confronto sui prezzi dell’elettricità lo facciamo con la Germania, così come il paragone con i costi per le rinnovabili che in quel paese hanno visto uno sviluppo importante.
    Nel 2010 i tedeschi hanno incentivato 90 miliardi di kWh di rinnovabili, sostenendo un costo sulla bolletta pari a 13 miliardi di euro. In Italia nello stesso anno l’incentivo per tutte le rinnovabili era sui 7-7,5 miliardi. Visto che in Germania i consumi sono il doppio dei nostri, si desume che i tedeschi hanno pagato circa 22 €/MWh in più per gli oneri di sistema, che si possono commisurare con un costo dell’elettricità all’ingrosso sulla Borsa elettrica che all’epoca era intorno ai 50 €/MWh. Quindi si tratta di un considerevole incremento di costo.
    Ma i tedeschi, che sono bravi a programmare lo sviluppo del loro settore delle rinnovabili, hanno stimato che il nuovo piano per le rinnovabili consentirà al 2015 una produzione di 115 miliardi di kWh con un finanziamento necessario di 21 miliardi di euro che, su un’ipotesi di consumo di circa 600 TWh, avrà un’incidenza di quasi 35 € a MWh.
    Se torniamo ad oggi vedremmo che anche in Italia nel 2010 il peso delle rinnovabili è intorno ai 22-23 €/MWh. Anche se va detto che loro, con le stesse risorse, riescono ad incentivare una produzione maggiore, perché sanno seguire meglio i segnali che vengono dal mercato.
    Ricordo che solo qualche anno fa si diceva che il prezzo dell’energia elettrica era maggiore del 30% rispetto, ad esempio, alla Germania o alla media UE per il semplice fatto che i produttori di energia elettrica ci guadagnavano troppo.
    Anche a suo tempo questo poteva essere definito un luogo comune.
    Oggi di certo non guadagnano più, visto che i cicli combinati riescono a produrre per sole 2500 ore all’anno.
    Il vero motivo è che il prezzo del gas è troppo elevato rispetto ai prezzi sul mercato elettrico e non c’è più quel giusto margine per potere generare elettricità. Quindi per molte ore della giornata per un operatore del settore è molto più conveniente comprare energia elettrica sulla Borsa che produrla. Ricordo, peraltro, che quello dell’energia è l’unico comparto industriale italiano nel quale gli operatori hanno un’addizionale aggiuntiva del 10% rappresentata dalla Robin Tax più tutte le altre tasse aggiuntive vecchie oramai di secoli anche quando l’energie rinnovabili non c’erano ma le tasse le pagavamo lo stesso.
    Direi proprio che il peso delle rinnovabili va a incidere veramente poco.
    La verità è che dobbiamo abbassare sul mercato interno il prezzo del gas per le centrali.
    Se il prezzo del gas fosse più o meno uniforme su tutto il territorio europeo, così come la Direttiva europea ci chiede, non avremmo questo grande differenziale dei prezzi dell’elettricità con altri paesi, anche se, dobbiamo ammetterlo, per i kWh prodotti da rinnovabili paghiamo più degli altri.
    Ma noi paghiamo le multe ma non ci aggiorniamo e anche tutto questo incide per non rispettare le Direttive Europee.
    Il gas ha un prezzo più alto perché il mercato libero del gas ancora non funziona bene. L’Italia presenta l’anomalia per cui il prezzo del gas aumenta all’aumentare dei volumi forniti.
    Se un sito, come una centrale che consuma circa 300-400 milioni di m3 di gas, paga il gas 4-6 centesimi di euro in più a metro cubo rispetto, ad esempio, ad una società che acquista un ventesimo o un trentesimo del quantitativo di una centrale, secondo me non ha logica a livello economico.
    Allora per prima cosa bisogna far funzionare il mercato del gas in Italia e quindi riuscire ad azzerare il differenziale del costo del gas per la produzione elettrica rispetto agli altri paesi.
    Lorenzo Gigli

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