Bioetanolo Beta, la rivoluzione parte dal Piemonte

Vendere etanolo ai brasiliani, primi esportatori mondiali di questo biocarburante, è come vendere ghiaccio agli eschimesi. Ma Guido Ghisolfi ci è riuscito. La Beta Renewables di Mossi & Ghisolfi non aveva ancora avviato la produzione italiana, che già cominciava a firmare accordi per vendere la sua tecnologia rivoluzionaria ai brasiliani di GraalBio.

Pompa-bioetanolo-300x277Ora è pronto e s'inaugura mercoledì a Crescentino, nel Vercellese, il primo impianto al mondo capace di produrre su scala industriale bioetanolo di seconda generazione, cioè dagli scarti agricoli, senza fare concorrenza alle colture alimentari. Il secondo, che sfrutta la tecnologia made in Italy, sarà operativo in Brasile già all'inizio del 2014, in mezzo alle sterminate piantagioni di canna da zucchero dell'Alagoas. Segue una lunga lista. "Per ora siamo gli unici, sul mercato globale, capaci di sintetizzare bioetanolo cellulosico. Abbiamo battuto colossi come Shell, Dupont o Abengoa. Prima o poi ci arriveranno anche loro, ma ci metteranno anni e nel frattempo chi vuole fare etanolo dagli scarti agricoli deve venire da noi, per cui stiamo chiudendo decine di contratti con aziende, soprattutto in Asia e in America, che vogliono utilizzare la nostra tecnologia", spiega Ghisolfi. Un bel risultato, costato 250 milioni di euro e sei anni di lavoro per ben 250 ricercatori, riuniti nei laboratori di Tortona, che in questo periodo hanno assorbito metà di tutti i laureati in chimica del Nord Italia. Lo sforzo ha pagato.

Beta Renewables ha risolto il problema di fondo dei biocarburanti, che non possono continuare a crescere utilizzando colture alimentari come la canna da zucchero, la barbabietola o il mais, da un lato perché non ci sono estensioni sufficienti di terreni coltivabili al mondo e dall'altro lato perché l'attività agricola, con la preparazione del terreno, l'irrigazione e i fertilizzanti, consuma più energia di quella prodotta distillando etanolo, quindi il bilancio finale va in rosso. La canna dei fossi e gli scarti cellulosici, invece, non richiedono nulla di tutto ciò. La soluzione trovata in Piemonte, quindi, è la chiave di volta per ridare slancio a un'industria che stava cominciando a segnare il passo. Da qui usciranno 50mila tonnellate di bioetanolo all'anno. Una goccia nel mare. In Europa ne servono almeno 10 milioni di tonnellate. Su base globale, secondo le ultime stime degli esperti, ci vorranno 2.600 impianti per coprire la domanda. Il calcolo dei margini non è difficile: basta considerare che le licenze di un singolo impianto costano 30 milioni di dollari e le apparecchiature, sempre made in Italy, altri 40.

"Ma questo è solo l'inizio", prevede Ghisolfi, che ha cominciato il suo percorso innovativo partendo dal prodotto di base di Mossi & Ghisolfi, il polietilene. Il passo successivo, per Beta Renewables, sarà l'utilizzo del bioetanolo di seconda generazione per sfornare prodotti chimici verdi e bioplastiche. "Nel giro di qualche anno, Crescentino potrebbe trasformarsi nella Montecatini del Ventunesimo secolo", promette. Il suo sogno è emancipare l'industria chimica dal legame con il petrolio. "Finché i prodotti chimici saranno derivati solo dal petrolio, non ci sarà gara con i Paesi del Medio Oriente, che ce l'hanno in casa a bassissimo prezzo. Se il bioetanolo di seconda generazione diventasse competitivo con il petrolio, invece, potremmo controllare tutta la filiera, a partire dalla materia prima. Il futuro della chimica parte da qui". Si apre così la prospettiva, per Mossi & Ghisolfi, di arrivare già l'anno prossimo dai 3 miliardi attuali a 5 miliardi di fatturato e per la chimica italiana di riprendere vigore dopo una lunga stagione di declino.