Quando la Harvard Business Review ha raccontato mesi fa che investire in informatica non porta più vantaggi competitivi, molti nel settore hanno trattenuto il respiro, altri hanno disdetto l' abbonamento. Nick Donofrio non ha fatto una piega. Il numero due di Ibm pensa che non sia vero. E ritiene di non aver bisogno di dimostrarlo a nessuno. Perché vive e tocca con mano ogni giorno la necessità espressa dalle aziende di avere strumenti più veloci, più capaci, più facili da usare, oggi come il primo giorno in cui è entrato in Big Blue, nel lontano ' 67. Dice: «Il futuro sta in tanti piccoli apparecchi diffusi, ognuno con una funzione diversa di collegamento a un cervellone remoto, ognuno mirato a usare solo una parte specifica delle sue capacità». A 57 anni, questo combattivo ingegnere di origini italoamericane che non disdegna le citazioni in latino («Ho fatto il chierichetto anch' io») e ama le bretelle vistose alla Larry King, porta su di sé tutto il peso della gloriosa tradizione Ibm, con la responsabilità della strategia per lo sviluppo e la commercializzazione delle tecnologie più avanzate prodotte dal colosso mondiale dei computer. Eredità non facile, in un' epoca in cui le macchine costituiscono ormai solo un terzo del fatturato di questo colosso da 83 miliardi di dollari e le aziende tendono a razionalizzare la capacità informatica che già possiedono piuttosto che comprarne di nuova. Ma Nick Donofrio presta attenzione alla congiuntura solo fino a un certo punto: Big Blue secondo lui è al di là di queste «fluttuazioni momentanee». Del resto che cos' altro aspettarsi da un' azienda che navigando controvento ha speso quasi cinque miliardi di dollari in ricerca nel 2002 e ha tratto dai 22 mila brevetti dei suoi ingegneri ben un miliardo di utili? Sette di questi brevetti sono targati Donofrio e anche se, dopo 35 anni, i tempi sono cambiati e i capelli sono più bianchi, è chiaro che ci crede ancora: «Nella mia carriera ho visto aumentare di un milione di volte la performance dei computer e sono progressi che ci siamo costruiti pezzo per pezzo, con le nostre mani: all' inizio i chip erano fatti di germanio, poi siamo passati al silicio, abbiamo aggiunto i fili di rame per aumentare la velocità, infine l' isolamento. Tutto questo è partito dai tecnici Ibm. E anche il prossimo passo, l' uso di un silicio deformato che sappiamo da anni essere il materiale ideale per far circolare gli elettroni più velocemente con meno dispendio di energia, sta giungendo a compimento nei nostri laboratori proprio in questi giorni, anche se ci vorranno almeno due anni prima che una macchina costruita con i nuovi chip arrivi nelle vetrine dei negozi». Per Donofrio, sfidare la legge di Moore è una delle priorità: con i nuovi chip, la performance dei computer dovrebbe compiere un balzo in avanti dal 40% al 60%. L' altra è ancora più ardita: la semplificazione. «I computer del futuro risponderanno alla nostra voce, all' espressione della faccia, al semplice movimento delle labbra. Non ci sarà più bisogno di "allenare" le macchine alla nostra pronuncia, così come non dobbiamo "allenare" un telefono o un rubinetto. Certo questi sono sviluppi lontani, ma se andiamo avanti a questo ritmo forse riuscirò a vederli anch' io». C' è un tocco di Ray Kurzweil e delle sue «macchine spirituali» nella visione dell' uomo Ibm, che considera del tutto naturale la parcellizzazione e la pervasività già oggi sperimentate attivamente da Ibm con il «grid computing» (vedi anche il servizio di Chiara Sottocorona a pagina 20) e lo sfruttamento «a richiesta» di risorse remote, per venire incontro alle necessità di risparmio e di razionalizzazione delle aziende: «Non occorre essere degli ingegneri elettronici per capire che ormai non serve avere un computer in tasca o in casa o in azienda per sfruttare le grandi potenzialità di crescita offerte dall' information technology». Ma la differenza tra Donofrio e Kurzweil sta tutta nell' imperativo categorico: consegnare i prodotti ai clienti. Le macchine intelligenti di cui parla l' uomo Ibm, infatti, in parte ci sono già: prendiamo la Web Fountain, una nuova piattaforma messa a punto da un team dell' Almaden Research Center destinata ad estrarre trend, schemi e relazioni dalla Rete, che gli insider hanno soprannominato «Google on steroids». Questa nuova tecnologia, già in distribuzione, legge e capisce i testi con straordinaria intelligenza, usando il linguaggio come noi lo conosciamo (non il linguaggio cifrato di programmazione) per instaurare sofisticate correlazioni fra le parole che consentano di riconoscere strutture altrimenti indecrifrabili.
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