Un salvavita per il mercato

Solo un mercato capace di offrire agli operatori un' assoluta trasparenza dei prezzi e una remunerazione decente degli investimenti «riuscirà a sbloccare l' impasse all' origine del blackout di settembre». Antonio Urbano, amministratore delegato di Dynameeting, il principale grossista indipendente che opera sul mercato italiano dell' energia, invita ad accelerare i tempi della liberalizzazione se si vogliono evitare altri blackout. Permessi più facili per chi vuole costruire nuove centrali, deroghe ai limiti di tutela ambientale per consentire alle centrali esistenti di funzionare a tutto vapore, esenzione dal diritto di terzi ad accedere alle nuove linee di interconnessione per incentivare la costruzione di altre linee ancora, accelerazione della riunificazione fra la proprietà e la gestione della rete, sono tutti provvedimenti utili. Ma per risolvere alla radice il problema della produzione insufficiente di energia in Italia, l' unico rimedio vero è portare a compimento la liberalizzazione con il varo della Borsa elettrica, annunciato mille volte e mille volte rimandato. Solo la garanzia di avere una piazza sicura su cui collocare la propria produzione, infatti, spingerà i capitali privati verso quegli investimenti nelle infrastrutture di cui il sistema Paese ha estremo bisogno. Ecco perché gli operatori chiedono il rispetto della scadenza dell' inizio 2004 – messa pesantemente in dubbio dalle polemiche sul decreto Marzano – e soprattutto il varo di uno strumento che diventi davvero la piazza centrale per agli scambi nazionali dell' energia e non un mercatino di periferia evitato da tutti. «Mi sono preso l' impegno di far partire la Borsa elettrica dal primo gennaio 2004, come previsto, e non ho dubbi che così avverrà, anche perché ho constatato un' enorme aspettativa in questo senso da parte della aziende», assicura Giorgio Szego, il neoeletto presidente del Gme, il gestore del mercato elettrico a cui è affidata l' organizzazione della Borsa. Szego, che insegna Economia dei mercati monetari e finanziari all' università La Sapienza di Roma e collabora da tempo con il Gme per mettere a punto la gestione degli strumenti derivati, è deciso a difendere la centralità del nuovo mercato. «E' importante che nella Borsa possano entrare a negoziare anche svizzeri e francesi, attori di primo piano sul teatro italiano dell' energia», spiega Szego, che già nel consiglio di domani prenderà in mano le redini dell' operazione. Ma il mercato resta scettico. «In un regime non obbligatorio, com' è giustamente il nostro, la Borsa si deve guadagnare sul campo il favore degli operatori, convincendoli di essere il punto di riferimento fondamentale con delle regole chiare, che assicurino la trasparenza dei prezzi, e con dei meccanismi che evitino gli abusi di posizione dominante», auspica Urbano. Per quanto riguarda le regole, la disciplina definitiva delle negoziazioni appena varata dal consiglio uscente accoglie in gran parte le richieste degli operatori, introducendo una generale semplificazione e confermando il criterio del prezzo unico nazionale per i consumatori (pari alla media dei prezzi zonali), mentre per i venditori il prezzo sarà differenziato per zone. In questo modo il gestore spera di indurre i produttori ad andare a costruire centrali nelle zone che ne hanno più bisogno. Ma la forte concentrazione della produzione in mano all' operatore dominante, l' Enel, rischia di minare il libero gioco della domanda e dell' offerta, disincentivando la partecipazione alle negoziazioni. «Niente di male – precisa Urbano – se alla lunga i contratti bilaterali che non passeranno dalla Borsa dovessero occupare la fetta maggiore del mercato, come sta succedendo nel Regno Unito dopo dieci anni di esperienza, ma dev' essere chiaro fin dall' inizio che il prezzo di riferimento per tutti è quello fissato in Borsa». Nei primi tempi, dunque, sarà molto importante che gli scambi siano sostenuti e il mercato molto liquido. Su questo fronte pesano due incognite non da poco: da un lato il controllo delle importazioni, che il decreto appena varato sposta dall' Autorità dell' energia al ministero delle Attività produttive, in aperta violazione del regolamento comunitario sulle aste internazionali entrato in vigore in agosto, dall' altro lato il destino dell' energia cosiddetta Cip6, cioè quella prodotta dai privati e poi ceduta al Grtn a prezzi molto vantaggiosi, che attualmente viene assegnata direttamente dal ministero. Un importante nodo irrisolto è anche quello dei clienti interrompibili. Si tratta di grandi consumatori industriali che si dichiarano disponibili a subire distacchi di carico con un preavviso minimo e in cambio ricevono per via amministrata energia a prezzi agevolati. Una pratica che costa alle casse dello Stato circa 250 milioni di euro all' anno per 1.200 MW interrompibili e che a ben guardare assomiglia molto a un sussidio travestito. Anche questa è energia che naturalmente preferirebbe sfuggire alle regole del libero mercato. Preoccupa infine la privatizzazione della rete di trasmissione elettrica nazionale, che attualmente è gestita dal Grtn, ma di proprietà della Terna, una società del gruppo Enel: a chi andrà il controllo finale dei due tronconi, che stanno per essere riunificati in vista del collocamento? «Di per se stessa la riunificazione non ha niente di male – commenta Urbano – ma è importante che chi starà nella stanza dei bottoni della nuova società sia un soggetto neutrale». Per ora l' ipotesi più accreditata è che il Grtn venga acquisito da Terna, il cui controllo verrebbe conferito alla Cassa depositi e prestiti. Ma sulla fase successiva, la privatizzazione, pesano gli altolà sia dell' Autorità antitrust che dell' Autorità per l' energia.

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