Quando le luci si spengono e il Paese rimane al buio, a Bergamo c' è un centro commerciale dove la vita continua normalmente. E non grazie a un generatore che ingurgita fiumi di gasolio, ma in virtù di un silenzioso armadietto che beve metano per poi riversare energia elettrica e aria calda nelle esauste vene del sistema. «Con la liberalizzazione l' energia in eccesso può essere immessa nella rete di distribuzione nazionale e rivenduta, ammortizzando il costo della macchina», spiega Fabio Fontana, amministratore delegato di Jucker Energia, che commercializza in Italia le minicentrali diventate di moda dopo il blackout di settembre. Turbine Le unità di micro-cogenerazione sono impianti che utilizzano turbine a gas per dare energia elettrica e termica (calore o refrigerazione) a grandi condomini, ospedali, centri commerciali e sportivi, scuole e stabilimenti produttivi con un' efficienza che sfiora l' 80% (contro il 35% delle normali centrali termoelettriche) e un impatto ambientale di molto inferiore a quello fissato dagli accordi di Kyoto. In generale possono essere usate da tutti gli utenti di dimensioni medio-grandi che esprimono una necessità costante di energia elettrica e termica: è così in tutto il Centro e Nord Europa, dove circa il 10% dell' energia complessiva proviene da impianti decentrati di questo genere, per non parlare dell' Olanda, dove siamo ormai al 40%, con ovvie ricadute sulla sicurezza dell' approvvigionamento energetico. Molto sfruttate anche nei Paesi in via di sviluppo (India e Cina in testa) e negli Stati Uniti soprattutto dopo il blackout in California, le minicentrali a gas sono considerate in Occidente un valido supporto per le reti energetiche nazionali sempre più sovraccariche, oltre che un modo economico ed efficiente per produrre energia senza dispersioni di calore dannose per l' ambiente e con bassissime emissioni di ossidi di azoto e di anidride carbonica. Ma non in Italia. La secolare concentrazione della produzione di energia nelle mani di un soggetto unico e la disastrosa condizione della rete elettrica nazionale, a cui manca l' interconnettività richiesta dalla liberalizzazione europea, rende particolarmente difficile il decentramento della produzione di energia a livello locale. «Siamo sommersi di richieste – spiega Fontana, ingegnere nucleare già amministratore delegato di British Gas Italia e di Serene, joint-venture energetica con Fiat – ma le normative che regolano l' allacciamento alla rete nazionale sono talmente restrittive da trasformare ogni installazione in un rompicapo. La rete elettrica italiana è così antiquata da esigere l' utilizzo di barriere fisiche per regolare il flusso di energia che esce dal produttore locale. Gioielli E pensare che queste macchine, veri e propri gioiellini dell' elettronica prodotti dalla Bowman, leader mondiale del settore, nel Regno Unito vengono allacciate in un minuto e poi dialogano con la rete a livello di collegamento informatico. Qui sembra di spostarsi in un altro secolo». Il fatto è che la rete elettrica italiana non è fittamente interconnessa («magliata», si dice in gergo) come quella europea. Il nodo verrà presto al pettine, perché il regolamento Ue di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia presuppone un adeguamento allo standard europeo. Resta il fatto che il decentramento della produzione di energia è considerato a Bruxelles una delle risposte più efficienti al sovraccarico delle reti nazionali e che la progressiva liberalizzazione ha aperto un mercato potenziale da 500 milioni di euro alle minicentrali di Jucker Energia, joint-venture fra il gruppo Jucker (che fa capo alla Esfin di Guido Scalfi) e Goal (la società di consulenza energetica di Fabio Fontana). «Un mercato – precisa Fontana – stimato sul 10% degli utenti idonei con un fabbisogno termico abbastanza elevato da giustificare l' impiego di una minicentrale». Stime prudenti, dunque, che con l' ampliamento della liberalizzazione a tutti gli utenti professionali l' anno prossimo potrebbero lievitare.
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