James Surowiecki

Per sapere quanto varrà un certo titolo fra due settimane o due mesi, è meglio chiedere a un analista del settore o piazzarsi davanti alla porta della Borsa di Milano e rivolgere la stessa domanda a tutti quelli che escono, facendo poi la media delle risposte? Parrà incredibile, ma Jim Surowiecki, titolare della pagina finanziaria del "New Yorker" e autore del libro "The Wisdom of Crowds", sceglierebbe la seconda strada.

La tesi centrale del suo libro è che i gruppi hanno quasi sempre ragione e certamente molto più spesso dei singoli individui, anche dei migliori. Quindi chi punta contro l'opinione del mercato sbaglia. Ma da dove viene tutta questa fiducia nella pazza folla?

"Dalla sperimentazione scientifica. Ci sono ampi studi nell'ambito della ricerca psicologica, sociologica e finanziaria che lo dimostrano. Il primo esperimento lo ha condotto nel 1906 uno scienziato inglese, Francis Galton, un elitista convinto avversatore dei metodi democratici. Gli capitò per caso di assistere a un concorso in una fiera agricola, dove si chiedeva di stimare il peso della carne prodotta da un certo manzo dopo averlo macellato. Fra gli ottocento partecipanti c'erano anche degli allevatori, ma la grande maggioranza era composta da curiosi di passaggio, come lui. Finito il concorso, Galton comprò tutti i biglietti su cui i partecipanti avevano scritto le loro ipotesi, per farci sopra dei test. Con suo grande stupore, scoprì che la media delle soluzioni suggerite dalla folla era di 1.197 libbre e dopo la macellazione la carne del manzo ne pesava 1.198. Nessuno dei singoli scommettitori era andato così vicino alla verità".

Non poteva essere una coincidenza?

"Può essere, ma dagli esperimenti successivi sappiamo con certezza che le risposte di massa sono sempre più corrette delle risposte individuali. Una classica dimostrazione è quella del vaso pieno di mentine, condotta da Jack Treynor – un famoso economista che ha insegnato alla Columbia e ora è presidente di Treynor Capital Management, ndr. – tra i suoi studenti. Sollecitati a indovinare quante mentine erano contenute nel vaso, la risposta collettiva fu di 871, mentre nel vaso ce n'erano 850. Solo uno studente sui 56 presenti si avvicinò di più alla verità. Treynor ha ripetuto l'esperimento innumerevoli volte e il risultato non è mai molto diverso. Oppure consideriamo la trasmissione Who wants to be a Millionaire. Quando un concorrente non sa una risposta, può scegliere se farsi aiutare da una persona scelta precedentemente come l'esperto di fiducia, oppure dalla folla del pubblico. In generale verrebbe da pensare che chiedere all'esperto sia la scelta migliore, invece è stato dimostrato che le risposte degli esperti sono giuste nel 65% dei casi, mentre le risposte del pubblico (molto popolare) sono giuste nel 91% dei casi".

Ma se la folla ha sempre ragione, da dove nascono le bolle azionarie o le dittature?

"Buona domanda. Perché la folla abbia ragione ci sono quattro condizioni chiave da rispettare: dev'essere una folla diversificata, in modo che ognuno contribuisca con informazioni diverse; dev'essere composta da persone indipendenti, che non badano a quello che stanno facendo gli altri; dev'essere decentralizzata, in modo che nessuno possa pilotarla dall'alto; e deve avere a disposizione un meccanismo, come quello del prezzo per i mercati, capace di riassumere in un dato il verdetto collettivo".

Quand'è che l'opinione collettiva deraglia?

"Tutte le volte che la massa subisce una forte influenza esterna e agisce in base a dei pregiudizi collettivi, tende a prendere delle decisioni sbagliate. Ad esempio quando certe opinioni vengono soffocate o quando si comincia a dare troppa importanza a quello che stanno facendo gli altri".

Come nelle bolle…

"Esattamente. Le bolle sono un classico esempio di folla stupida: invece di badare a quanto vale davvero un'azienda, in quel caso gli investitori badano solo a quanto gli altri pensano che quell'azienda valga. Il paradosso della saggezza delle masse è che le migliori decisioni di gruppo vengono da una somma di diverse decisioni individuali, mai da un consenso collettivo".

Ma per l’investitore questo cosa comporta?

“Il mio consiglio è di comperare sempre il mercato, investendo in fondi indicizzati, perché è molto difficile riconoscere i momenti in cui bisogna andare contro l’orientamento delle masse. So che è molto noioso, ma in questo modo si circoscrivono le perdite a rare cadute momentanee, mentre sul lungo periodo si va sul sicuro”.

Allora gli investitori che cercano di andare sempre controcorrente sbagliano?

“E’ giusto andare controcorrente solo quando ci si accorge che l’opinione delle masse sta deragliando, in preda al fervore speculativo. Ma non è facile riconoscere il momento giusto: spesso si rischia di agire troppo presto e si finisce per rimetterci di più”.

In questo momento vede bolle in arrivo?

“Sì, la bolla del nanotech. Siamo ai primordi, perché la maggior parte delle società nanotech sono ancora piccole e in mano a privati. Si tratta di una fase simile a quella vissuta nel ’93 – prima dell’ipo di Netscape, ndr. – dalla bolla Internet. Probabilmente la prima grossa ipo del nanotech ci sarà l’anno prossimo. Il nanotech è una di quelle tipiche innovazioni con vaste ricadute su settori molto diversi dell’economia, come la ferrovia, l’elettricità o Internet, che tendono a scatenare delle bolle”.

Quindi meglio tenersi alla larga?

“Non dico questo. Ma è chiaro che la maggior parte delle aziende che ora piacciono tanto a Wall Street, per non parlare di quelle che sognano ipo milionarie, nel giro di un decennio saranno sparite. Questo è il modo in cui si sviluppano nuove industrie negli Stati Uniti: sorge un’orda di aziende, dopo un po’ le più deboli muoiono e solo le migliori sopravvivono, per diventare alla lunga dei colossi. Il prezzo dell’innovazione è che si finisce per mettere soldi anche nelle cattive idee oltre che nelle buone. Il paradosso è che spesso le perdite dei singoli sono un guadagno per la società. Grazie alla voglia di rischiare degli investitori, infatti, le aziende riescono a fare molta più ricerca di quanto sarebbe economicamente razionale, sperimentano nuove idee e soluzioni che con meno soldi a disposizione non verrebbero mai sperimentate. E’ un processo doloroso per chi ci perde, ma è il migliore processo mai inventato per finanziare l’innovazione”.

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