"Datemi una nave cisterna piena di fertilizzante a base di ferro e vi darò una glaciazione". Questo era lo slogan di John Martin, un oceanografo americano padre della "teoria del ferro", con cui voleva disseminare le zone morte degli oceani, per scatenare una fioritura di microalghe capaci di assorbire tonnellate di anidride carbonica dall'atmosfera. L'eredità di "Iron Man", scomparso nel '93, è stata raccolta da una startup californiana, Climos, fondata da Dan Whaley, veterano di Silicon Valley, con al suo attivo la più importante transazione cash della Net Economy, quando vendette nel 2000 la sua prima creatura, GetThere, per 750 milioni di dollari. Climos, così come la startup australiana Ocean Nourishment, spera di riuscire a commercializzare la fertilizzazione degli oceani, guadagnando crediti di carbonio, analogamente a quanto succede con i progetti di riforestazione.
La teoria del ferro parte dalla constatazione che già oggi il fitoplancton assorbe con la fotosintesi clorofilliana altrettanta anidride carbonica di tutte le foreste della terra. Martin, mosso dalla convinzione che il mare potrebbe aiutare l'uomo meglio della terra a rallentare il riscaldamento del clima, con i suoi studi ha aperto la strada a uno dei primi esperimenti di geoengineering mai tentati. Nel '93, pochi mesi dopo la sua morte, la Columbus Iselin arrivò in un'area del Pacifico equatoriale che i cartografi ottocenteschi chiamavano la Zona Desolata, portando con sé 23 scienziati e mezza tonnellata di solfato ferroso, che fu disseminato su 25 miglia quadrate di oceano. I risultati furono buoni, ma non ottimali: un satellite della Nasa segnalò una produzione di clorofilla notevole, ma inferiore a quella che ci si attendeva. Nel '95 si fece il bis, distribuendo il ferro più lentamente: stavolta la fioritura fu impressionante e produsse una biomassa equivalente a 100 sequoie adulte. Da allora si sono ripetuti una decina di esperimenti analoghi.
L'ultimo risale al mese scorso, quando una spedizione indo-tedesca ha "fertilizzato" 300 chilometri quadrati di oceano meridionale. In questo caso la fioritura c'è stata, ma le alghe non erano quelle giuste. L'oceanografo Victor Smetacek ha spiegato che il fitoplancton è stato subito divorato dai crostacei, dimostrando che l'area prescelta non era adatta. Il trucco, infatti, sta nello scegliere aree povere di ferro ma ricche di silicio, dove crescono soprattutto diatomee, provviste di un minuscolo astuccio siliceo che le protegge dai predatori. "Il sistema è più complesso di quanto credessimo", ha commentato Smetacek, deluso. Ma i fautori della fertilizzazione non si danno per vinti e vorrebbero continuare, nonostante le critiche degli ambientalisti, preoccupati dai danni che le fioriture indotte dall'uomo potrebbero causare all'ecosistema marino.
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