Internet? E’ più attraente di Wall Street

Per decenni, i migliori laureati in scienze economiche si sono misurati con le sfide della finanza, dove l’analisi matematica in determinate circostanze può tramutarsi in denaro sonante. Ma oggi la massa di dati offerta dai mercati finanziari, su cui i giovani economisti disegnavano i loro modelli, è stata eclissata dal flusso gigantesco d’informazioni che passa attraverso i server delle grandi Internet companies. Chi è capace di prevedere il comportamento dei consumatori e di influenzarlo organizzando le offerte nella maniera più efficace, vince il jackpot della rete. Così la magia del marketing, nella sua versione online, è diventata misurabile, orientabile con un algoritmo. E più attraente di Wall Street. Infatti è qui che si stanno affollando le menti migliori della ricerca economica mondiale.
Hal Varian è considerato uno dei pionieri di questo movimento. Economista dell’università della California a Berkeley, di cui è stato il rettore fino al 2001, Varian è noto a legioni di studenti per il suo popolare testo di microeconomia, ma è anche un grande esperto di economia dell’informazione, co-autore di “Information Rules”. Dall’estate scorsa è diventato il capo economista di Google, dove sta costruendo un team di economisti, statistici e analisti per contribuire alla strategia del gigante della rete. Un’opera che aveva già avviato da consulente esterno e a cui ora ha deciso di dedicarsi a tempo pieno. “Dopo aver studiato per anni le tribù della Silicon Valley, alla fine mi sono fatto accettare e ora sono uno di loro”, ha dichiarato recentemente al Wall Street Journal. Varian aveva già costruito nel tempo una nutrita squadra di analisti quantitativi. “Il team degli economisti andrà a completare queste risorse già esistenti”, ha spiegato. “Google – precisa – ha una straordinaria infrastruttura per l’analisi dei dati, oltre a un management molto ricettivo all’utilizzo di metodi quantitativi e disponibile a investire in questo campo. Cosa potrei desiderare di meglio?”
L’attenzione di Larry Page e Sergey Brin per la ricerca econometrica non stupisce, visto che proprio su un algoritmo ben calibrato si basa la fortuna di Google: nel 2006 ha ricavato oltre 10 miliardi di dollari dalle entrate pubblicitarie e solo 112 milioni dalle altre attività. Le entrate pubblicitarie derivano essenzialmente dal modello matematico su cui si basa AdWords, il servizio che organizza la pubblicazione degli annunci. L’ordine in cui compaiono le voci pubblicitarie, infatti, dipende dal costo per click pagato dai diversi committenti, ma anche dal “quality score”, cioè dalla frequenza con cui gli annunci vengono cliccati, calcolata in base alle serie storiche e alla rilevanza delle parole chiave scelte dal committente per far comparire il suo annuncio. Il mix delle varie voci è stato calibrato in maniera tale da generare in media il 45% di ricavi in più per ogni ricerca, rispetto ai ricavi di Yahoo. Il principale competitor di Google ammette di aver perso centinaia di milioni di dollari su questo fronte e di dare la caccia da anni all’algoritmo giusto, senza successo.
Non a caso anche Yahoo sta cercando di costruire una squadra di ricercatori per contrastare la corsa di Google. La prima recluta importante è stato Michael Schwarz, un promettente microeconomista di Harvard e autore di un paper molto chiacchierato proprio sul modello pubblicitario di Google. Ma il chief data officer di Yahoo, Usama Fayyad, conta di reclutarne un’altra dozzina, che andranno ad arricchire i laboratori di Yahoo Research, diretti da Prabhakar Raghavan, un ex veterano di Ibm Research passato alla concorrenza nel 2005. “Sarò deluso se lo sforzo di Yahoo nella ricerca di base non dovesse dare al mondo un premio Nobel”, ha dichiarato recentemente Fayyad.
Belle parole. Ma nella pratica, l’obiettivo centrale di Yahoo, come quello dei rivali di Mountain View, è registrare che cosa fanno ogni giorno milioni di consumatori e studiare come i servizi offerti online possano influenzare il loro comportamento. A questo serve la pletora di servizi gratuiti che cercano di diffondere, da Gmail a Google Earth, fino al nuovissimo Knols, che punta a soppiantare Wikipedia. Il problema è agganciare la ricerca di base a questi obiettivi. E molti dubitano che gli ingegneri impegnati nella gestione quotidiana dell’azienda abbiano tempo o voglia di realizzare le idee del team di ricercatori.
Un altro potenziale ostacolo al raggiungimento di questi obiettivi è la protezione della privacy. Infortuni come quello accaduto a Aol quando ha reso pubbliche per sbaglio una serie d’informazioni sui suoi utenti, o pratiche scorrette come la complicità con il governo cinese nella persecuzione dei suoi oppositori, rischiano di portare a una progressiva disaffezione del pubblico, che potrebbe non essere più disposto ad affidare tutti i propri dati a un’idrovora così potente e potenzialmente pericolosa. Ma per il momento i segnali d’inquietudine nell’opinione pubblica sono molto contenuti. Di conseguenza le Internet companies guardano con crescente interesse ai loro database per trasformarli in una fonte di reddito. E se saranno capaci di includere nel loro business plan le trovate dei nuovi economisti che li affiancano senza dare troppo nell’occhio, potrebbero persino riuscirci.

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