Il WiFi, dicono, è come le dotcom. Continuiamo a buttarci dentro dei soldi, ma non è per niente sicuro che prima o poi questi soldi tornino indietro, né a chi arriveranno in tasca. Eppure qualcosa si muove. Questa tecnologia non finisce sui tavolini di Starbucks o di McDonald’s, fra i tecnomani metropolitani intenti a scaricare la posta con un panino in mano. E la ragione è molto semplice: se da un hotspot WiFi (o Bluetooth, il suo eurocentrico cugino) si possono mandare dati senza fili, perché non usarlo anche per fare una telefonata? Già oggi questo è teoricamente possibile, usando un laptop per fare una cosiddetta chiamata VoIP (voice over internet protocol), così com’è teoricamente possibile da tutte le postazioni fisse nelle case della gente. Solo che si tratta di una procedura troppo complicata per diventare un business. Ma con la crescente diffusione di milioni di hotspot e di reti aziendali basate sulla tecnologia scandinava Bluetooth, sarebbe ora che cominciassero a spuntare anche dei telefonini capaci di approfittarne. Ed è quello che sta succedendo.
British Telecom, ad esempio, sta armeggiando con un apparecchio ancora da lanciare che funziona come un normale telefono cellulare finché non entra nel raggio d’azione della sua base fissa. Qui, tramite la tecnologia Bluetooth, cambia rete e consente di telefonare via internet su una linea dati, che può essere usata contemporaneamente anche per navigare. Telefonare con Bluephone non è gratis, ma costa molto meno di una telefonata convenzionale. Usare il WiFi per fare lo stesso sarebbe un po’ più complicato, ma non c’è nulla che lo vieti, soprattutto da quando cominceranno a spuntare hotspot di nuova generazione, con uno standard migliore degli attuali. BT sta lavorando anche su questo, nel tentativo di estendere le capacità di Bluephone anche sul WiFi. E ci sono buone probabilità che ci riesca, anche se la prima versione del nuovo telefonino, che arriverà nei negozi nel 2004, non sarà ancora “trilingue”.
Gli americani, per cui il WiFi sta diventando ormai una religione, sono invece più concentrati su questa modalità. Motorola e la giapponese Nec stanno sviluppando insieme un telefonino a doppio uso, capace di passare automaticamente dalle reti convenzionali al protocollo internet non appena entra nel raggio d’azione di uno hotspot. Ma non è ancora pronto. E Cisco ha appena lanciato un cosiddetto “campus phone”, capace di funzionare via internet ma non sulle reti normali, destinato a tutti quegli utenti che passano la maggior parte della loro vita all’interno di uno hotspot, come ad esempio gli studenti universitari. Secondo Frank Hanzlik, dell’americana WiFi Alliance, non siamo molto distanti dalla nascita di telefonini “agnostici”, capaci di passare indifferentemente da una modalità all’altra. La sua valutazione, forse ottimistica, è che non ci vogliano più di 18 mesi per arrivarci. In tre anni potrebbero già cominciare a diffondersi.
Resta da chiedersi: a chi giova? Non necessariamente agli operatori mobili, che già vedono il WiFi come un intruso sul loro terreno, per il modo in cui rosicchia una parte dei loro utili sulla trasmissione dati. Ma siccome l’80% dei loro affari li fanno con la voce, per ora non si preoccupano. Vero è che proprio dagli operatori mobili provengono l’esperienza e le conoscenze necessarie per consentire alla gente di fare telefonate attraverso internet con la stessa facilità con cui le fanno adesso sulle loro reti. E’ dunque logico che in qualche modo questo sviluppo coinvolga anche loro, soprattutto se saranno capaci di stabilire le alleanze giuste. Ad esempio accordandosi con i diversi proprietari degli hospot in modo da usare la SIM card del telefonino come chiave di accesso universale e impronta identificativa dell’utente, per evitare alla gente la scomodità di pagare l’uso di ogni hotspot separatamente, come oggi succede spesso. L'unica cosa da non fare è pestarsi i piedi a vicenda.
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