Investire in un impianto a energie rinnovabili, con gli incentivi attuali, può dare dei rendimenti che vanno dall'8% del fotovoltaico al 37% delle biomasse. E' un investimento ideale per un piccolo imprenditore, sia che abbia bisogno dell'energia prodotta per far andare i suoi impianti, sia che preferisca venderla alla rete elettrica nazionale. Alessandro Nova, docente di Finanza Aziendale alla Bocconi, ha fatto un po' di calcoli e li ha messi nello studio "Investire in energie rinnovabili – La convenienza economica per le imprese", realizzato in collaborazione con Centrobanca.
Mi faccia un esempio.
"Prendiamo un piccolo impianto idroelettrico, in grado di produrre 2 milioni di kilowattora l’anno e con una vita utile di 30 anni. Un impianto così, da sempre tipico di zone molto ricche d'acqua come la Lombardia, è capace di assicurare un tasso interno di rendimento ben superiore al costo del capitale investito, sia che l’energia sia completamente utilizzata per i processi produttivi industriali, sia che parte di essa (o al limite, tutta) sia venduta alla rete nazionale. In questo tipo di investimento, nel caso del 100% di autoconsumo, il tasso interno di rendimento raggiungerebbe il 18,3%. Anche calcolando un costo del capitale alto, al 7,5%, si ottiene una rilevante generazione di valore. Il periodo di rientro dell’investimento sarebbe di 8 anni. Se invece l'energia va in rete, tutta o in parte, il rendimento scende leggermente e il periodo di rientro si allunga di un anno".
E per il fotovoltaico, che si può installare su qualsiasi capannone, o anche sul tetto di casa?
"Il fotovoltaico è un impianto molto più costoso e quindi ha periodi di rientro più lunghi, nell'ordine dei 17-19 anni, ma anche per l'energia del sole c'è un rendimento notevole, che si aggira sull'8-9%, sempre superiore al costo del capitale. Se poi si vende alla rete il rischio è nullo e quindi il finanziamento può essere anche meno caro, nell'ordine del 5%. In questo caso il rendimento aumenta al 10% o anche oltre".
Perché il rischio è nullo?
"Grazie alla legislazione vigente, la rete è obbligata a ritirare tutta l'energia rinnovabile prodotta dai privati, pagandola a un prezzo di favore giù prefissato. Si tratta di una condizione particolarmente favorevole, sempre più rara nel panorama industriale contemporaneo: di solito quando un'azienda costruisce un impianto elettrico non sa a che congiuntura andrà incontro e quindi non ha la certezza di vendere l'energia prodotta, né a che prezzo la venderà. Oggi, ad esempio, i prezzi stanno scendendo. Ma questo non penalizza in alcun modo i produttori di energia da fonti rinnovabili, che sono protetti dall'incentivazione per tutta la vita dell'impianto".
Perché il rendimento è più alto in caso di autoconsumo?
"Quando l'impresa vende a se stessa c'è anche un dato di costo evitato. L'imprenditore paga in media l'energia 12,5-13 centesimi al kilowattora, il costo più alto d'Europa, escluse le tasse che sono equivalenti per tutti. Vende l'energia alla rete per 8 centesimi al kilowattora. Se invece di venderla la consuma in casa, evita quel costo in più di 4-5 centesimi al kWh. Se questo tipo di impianti fossero più diffusi, il sistema industriale italiano recupererebbe quel gap di competitività che ora lo distanzia dalle imprese estere sul costo dell'energia".
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