Con i cellulari ormai si scattano foto, si naviga in rete, si ascolta musica. Perché non usarli anche come portafoglio digitale? La tecnologia esiste, in Giappone e in Corea si fa già, ma per essere accettato in Occidente il sistema ha ancora molta strada da fare. Alcuni degli ultimi cellulari – in particolare i Sony e i Nokia, due aziende che hanno scommesso da tempo su questo business – sono già dotati di un chip che consente di trasformarli in un portafoglio digitale. Caricati a dovere, questi telefonini possono assolvere al ruolo di una carta di credito semplicemente avvicinandoli a un parchimetro, a un distributore automatico di snack o a un registratore di cassa e dando l'indicazione dell'importo da pagare. Un'abitudine ancora sconosciuta in Occidente, ma il fenomeno merita una certa attenzione: secondo Juniper Research, infatti, il commercio tramite cellulare è destinato raggiungere un giro d'affari da 88 miliardi di dollari nel 2009. Resta il fatto che il chip da inserire nel telefonino è solo un lato dell'equazione: finché i commercianti non si decideranno ad investire nei lettori capaci d'interfacciarsi con questi cellulari e la tecnologia non sarà più diffusa, i consumatori non s'imbarcheranno in quest'avventura.
I primi ad avviare un esperimento di massa sono stati i giapponesi di Ntt DoCoMo, che hanno lanciato in luglio diversi telefonini dotati del chip necessario a diventare un portafoglio digitale. Il servizio, chiamato I-Mode FeliCa, consente di registrare una certa cifra sul telefonino, che può essere poi usata per fare acquisti in diverse catene di grandi magazzini, da McDonald's o per comprare i biglietti dei treni e degli aerei di alcune compagnie. In Norvegia, la Telenor ha avviato un sistema analogo poche settimane fa.
La tecnologia utilizzata è un'estensione del sistema Rfid (Radio Frequency Identification), un metodo di trasmissione dati a distanze modeste che viene già ampiamente applicato nella logistica della grande distribuzione. Il colosso olandese Philips è l'azienda produttrice più avanzata in questa tecnologia, chiamata Near Field Communication (Nfc) e ha annunciato all'inizio di quest'anno diversi accordi con Samsung, Sony e Nokia per inserire un chip Nfc in tutti i loro nuovi modelli. Oltre al protafoglio virtuale, gli analisti elencano miriadi di altre applicazioni, dalla registrazione della carta d'imbarco per abbreviare i tempi morti negli aeroporti all'archiviazione dei dati sanitari per portarseli sempre dietro.
Ma ogni sistema di pagamento comporta una vasta rete di cooperazione fra soggetti diversi: la tecnologia Nfc richiede d'inserire un sistema di lettura specifico nei terminali dei negozi per la trasmissione dati delle carte di credito e quindi il coinvolgimento delle società di emissione delle carte, oltre che dei commercianti. Visa, che sta lavorando da due anni con Philips per sviluppare questo sistema, è il prima colosso del credito che si muove con decisione in questo senso. Secondo Debbie Arnold, vicepresidente di Visa e responsabile per i sistemi non convenzionali di pagamento, il portafoglio virtuale è una logica evoluzione sia per le carte di credito che per i telefonini. “In quest'epoca di trasmissione dati ad alta velocità, di cellulari sempre più potenti e di commercio virtuale sempre più diffuso, è molto strano che le alternative digitali ai contanti stentino ancora a prendere piede”, fa notare Arnold.
Una spiegazione potrebbe essere la sicurezza. Che cosa succede quando un telefonino con migliaia di dollari registrati, o con altri dati riservati, va perso o viene rubato? Prima di affidarli al suo cellulare, l'utente vorrà almeno avere la certezza che l'accesso a questi dati non possa essere utilizzato da altri in maniera fraudolenta. Per ottenere questo risultato, alcuni produttori come Ericsson, Intel o Nokia stanno ricorrendo alla sicurezza biometrica e puntano su mini-scanner delle impronte digitali, talmente piccoli da poterli inserire in un telefonino. Così gli utenti saranno in grado di chiudere l'accesso ai dati e renderlo davvero esclusivo. Una soluzione che per ora resta però a livello sperimentale.
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