Un potenziale occupazionale di 250mila posti di lavoro nel 2020 per le fonti rinnovabili, di cui oltre 77mila per l'eolico. E' questo il risultato di uno studio dello Iefe dell'università Bocconi sulle pospettive di sviluppo delle tecnologie rinnovabili, che fotografa l'Italia energetica del 2020 analizzando diversi scenari. Il risultato dello Iefe coincide a grandi linee con l'analisi dell'Anev, che valuta il potenziale occupazionale del vento in Italia attorno ai 66mila posti di lavoro al 2020, se si realizzeranno i 16.000 MW eolici che il nostro Paese potrebbe ospitare. I due studi s'inseriscono in un esercizio prospettico che hanno fatto in tanti: in un momento di cambiamenti epocali nell'organizzazione del sistema produttivo e di forte crisi economica come questo, sono cresciute le aspettative legate al ruolo positivo che l’innovazione tecnologica in campo energetico-ambientale può giocare sulla ripresa. Basti citare un recente rapporto curato dall’Unep, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, in cui si sottolinea come nei prossimi anni saranno soprattutto i green jobs ad ingrossare le fila dell’occupazione: solo nelle fonti rinnovabili, infatti, si passerà dagli attuali 2,3 milioni di occupati ad oltre 20 milioni di addetti nel 2030. Lo studio Iefe parte dalla considerazione che le politiche energetiche europee potranno garantire “un'opportunità di business e di sviluppo occupazionale per il nostro Paese” se gli sforzi si concentreranno sull'industria nazionale. L'Italia presenta infatti “buoni livelli di attrattività degli investimenti”, ma per farcela occorre eliminare alcune barriere: un “quadro regolatorio incerto e instabile” e “le difficoltà di gestione dei flussi elettrici, a fronte di problemi di congestione e di alcune rigidità delle reti di trasporto”. Poi c'è il fronte industriale. Gli impianti che sfruttano le energie rinnovabili nel nostro Paese sono in decisa crescita, in particolare eolico e fotovoltaico, ma in certi settori la filiera industriale non capitalizza i segmenti con maggiori margini di guadagno. E' per questo che occorre “sfruttare le risorse e le competenze già acquisite in altri settori manifatturieri (meccanica, automazione, elettrotecnica ed elettronica) per non lasciare il campo alle sole importazioni di apparati e componenti industriali degli impianti a fonti rinnovabili”. Per quanto riguarda l'eolico, in realtà, la fascia alta della filiera, quella che si occupa della produzione degli aerogeneratori, è già piuttosto ben rappresentata. Con il suo stabilimento di Taranto, in dieci anni di presenza in Italia il colosso danese Vestas ha prodotto più turbine di tutto il parco installato nel nostro Paese. Con un migliaio di occupati, i danesi rappresentano ormai un tassello molto importante nel panorama industriale pugliese. E ci sono altre due aziende, agli estremi opposti dello stivale – il gruppo Leitner a Vipiteno e il gruppo Moncada a Porto Empedocle – che hanno appena cominciato a produrre i primi aerogeneratori tutti italiani. Per non parlare della miriade di aziende meccaniche ed elettroniche che forniscono componenti molto importanti per il funzionamento dei grandi mulini. Non a caso, fra i professionisti “verdi” più ricercati nel mercato del lavoro, ci sono proprio il progettista meccanico e l'addetto al montaggio delle turbine. Due profili che le aziende fanno sempre più fatica a trovare.
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