Oltre 440 miliardi di euro all'anno: è questa la "tassa"
pagata dall'economia mondiale per sovvenzionare le fonti fossili. Non l'eolico
o il fotovoltaico, famigerati divoratori di sussidi statali. Non il nucleare,
da sempre accusato di pesare surrettiziamente sui bilanci pubblici. Ma il
petrolio, il gas o il carbone, materie prime già ampiamente remunerate dal
mercato. "L'Iran è il Paese che spende di più in questa corsa dissennata
contro il prezzo del petrolio: 101 miliardi, un terzo del suo bilancio, più dei
fondi destinati all'istruzione", spiega Fatih Birol, capo economista
dell'International Energy Agency, il cane da guardia dei consumi mondiali di
energia. Ma nelle casse delle compagnie petrolifere non si riversano fondi
pubblici solo dal terzo mondo, succede anche da noi: nel 2008 gli italiani
hanno speso quasi 4 miliardi in sussidi alle fonti fossili.
"Se questi incentivi fossero eliminati, la domanda globale di petrolio
si ridurrebbe di 6 milioni e mezzo di barili al giorno, equivalenti a un terzo
dei consumi americani", precisa Birol. Lo studio dell'Agenzia, che il
Corriere ha potuto leggere, sarà al centro del G20 di Toronto a fine mese, dove
si annunciano provvedimenti severi contro questa pratica, che ha un enorme
impatto sul consumo globale di combustibili fossili. L'analisi punta il dito in
particolare contro 37 Paesi in via di sviluppo, che nel 2008 hanno buttato 557
miliardi di dollari in tutto, incentivando lo spreco delle materie prime e
distorcendo il mercato mondiale: 312 miliardi per il petrolio, 204 per il gas e
40 per il carbone. In testa alla lista, dopo il caso eclatante dell'Iran, ci
sono Russia, Arabia Saudita, India e Cina.
E in Europa? "Qui abbiamo di solito sussidi che incidono più sul lato
dell'offerta che sulla domanda, mirati a difendere certi settori
industriali", fa notare Birol. Come in Italia, dove il salasso del Cip6
drena ogni anno, attraverso le bollette, miliardi di euro dalle tasche degli
utenti elettrici verso le casse dei produttori di energia. Nel 2008, ben 3,9 miliardi
sono andati a 46 centrali che bruciano principalmente scarti di raffineria,
mentre solo 1,48 miliardi sono finiti a 300 piccoli impianti alimentati da
fonti rinnovabili. "E' un caso tipico", commenta Birol. "In
generale il pubblico crede che siano le fonti rinnovabili o il nucleare a
ricevere il grosso del denaro pubblico, invece dai nostri studi sta emergendo
il contrario", rileva Birol. "Certo l'Italia – aggiunge – spicca fra
i Paesi europei per la dimensione del sussidio alle fonti fossili". E anche
per quanto la nostra economia sia dipendente da queste fonti. Nel 2008 la
bolletta petrolifera dell'Italia è stata di 32,6 miliardi di euro (il 2% del
Pil) per importare 165 milioni di tonnellate di petrolio o equivalenti, l'86,8%
del fabbisogno complessivo di energia, contro una media europea del 53,8%: solo
Malta, Cipro e il Lussemburgo sono più dipendenti di noi. "Certi Paesi
avanzano motivi di giustizia sociale o di difesa di un settore che ha rilevanza
nazionale – fa notare Birol – ma non mi sembra che l'Italia possa avere motivi
di questo tipo".
Uno sforzo per eliminare l'incentivazione alle centrali alimentate da fonti
fossili era stato fatto alla fine del 2009, quando l'ex ministro Claudio
Scajola aveva varato un sistema per la risoluzione anticipata delle convenzioni
con gli operatori di questi impianti. La risoluzione è volontaria, a fronte di
un risarcimento: i produttori non si sono tirati indietro, ma ora il ministero
sta cercando di quantificare i corrispettivi da riconoscere per la chiusura
anticipata e la questione è ancora in alto mare. I primi decreti potrebbero
essere pronti per la fine di giugno, ma interesseranno solo pochi impianti a
gas, i più omogenei fra loro. Per gli altri, che usano prevalentemente scarti
di raffineria, ci vorrà qualche mese. Ma la materia è ingarbugliata anche
dall'ammissione ai benefici Cip6 di impianti recenti, come alcuni
termovalorizzatori nell'ambito dell'emergenza rifiuti campana.
Birol è convinto che siamo alla fine di questi sussidi anche a livello
globale: "Il vento soffia nella direzione giusta". In base alle stime
dell'Agenzia, il G20 potrebbe tagliare dalle emissioni globali di CO2
l'equivalente dei fumi tedeschi, francesi, inglesi, italiani e spagnoli in un
colpo solo, se riuscisse a imporre un'eliminazione graduale delle sovvenzioni
da qui al 2020. Sarebbe un brutto colpo per le compagnie petrolifere.
"Certamente, se l'intervento del G20 avrà successo, i fondamentali del
business petrolifero cambieranno parecchio", commenta Birol. "D'altra
parte, sarebbe una buona notizia per le fonti rinnovabili, ma anche per il
nucleare".