Monnezza per le strade a Napoli, a Palermo, presto anche a Roma. L'Italia sembra incapace di affrontare il problema rifiuti: con 33 milioni di tonnellate prodotte all'anno, oltre mezza tonnellata pro capite, siamo il terzo Paese europeo per dimensione del mercato, ma solo il 14% di questo combustibile viene sfruttato per il recupero energetico, mentre il 53% finisce in discarica.
Abbiamo 53 termovalorizzatori (contro 127 in Francia) e oltre mille discariche, in contrasto con la normativa comunitaria, che scoraggia le discariche, e con il buon senso di Paesi come la Germania, l'Austria, la Svezia e la Danimarca, che le hanno messe fuori legge. In questi Paesi, ma anche in Francia, Olanda e Belgio, il recupero energetico dei rifiuti nei termovalorizzatori varia dal 30 al 60%. Il resto è riciclo, che in Germania raggiunge il 65%. "Dato il valore economico del materiale che in Italia si butta via e l'insostenibilità ambientale del sistema delle discariche in un continente densamente popolato come il nostro, è naturale che gli altri si siano organizzati", rileva Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy and Strategy Group del Politecnico di Milano. In Italia, la legge impone la raccolta differenziata al 50%, ma in realtà la media nazionale è sotto il 30.
"La valorizzazione del rifiuto oggi si aggira sui 70 euro a tonnellata e se si mette insieme al valore della raccolta, si raggiunge facilmente un giro d'affari da 15 miliardi di euro all'anno", precisa Davide Chiaroni, del team di Chiesa, che cura il rapporto annuale sul mercato delle biomasse, di cui i rifiuti urbani rappresentano una fetta importante. Un mercato, quello italiano, estremamente diversificato: si va dalla best practice lombarda, dove il recupero energetico supera il 47% e solo il 9% dei rifiuti urbani finisce in discarica, alla Sicilia che manda in discarica il cento per cento di quello che produce. Basta guardare su una mappa la distribuzione dei termovalorizzatori per capire che il Paese è spaccato a metà: ci sono solo sei impianti a Sud di Roma, che a sua volta si appoggia sulla discarica di Malagrotta, grande oltre dieci volte lo stadio Olimpico e vicina al limite di saturazione. Perché?
Semplice: le discariche sono un costo economico e ambientale per la comunità, ma rendono un botto ai loro proprietari. Per la precisione, 1 miliardo e 200 milioni di euro, calcolando una media di 70 euro a tonnellata per 17 milioni di tonnellate di rifiuti mandati in discarica ogni anno in Italia. A fronte di zero investimenti e costi di gestione molto modesti. Gli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti, invece, sono macchine complesse, che richiedono investimenti e know-how molto più elevati. Si prestano poco alle infiltrazioni della malavita organizzata. "D'altra parte un termovalorizzatore offre diversi vantaggi, oltre a quello ambientale, sia a chi lo costruisce che a chi lo ospita: rende bene, malgrado le recenti modifiche al sistema d'incentivazione dei Certificati Verdi, dà occupazione e misure di compensazione ai residenti", fa notare Chiaroni. Per non parlare del vantaggio economico per il sistema Paese. Alessandro Marangoni, professore della Bocconi, ha calcolato i costi del caso Napoli: 2.268 milioni di euro in dieci anni, confrontando la mala gestione campana con il modello virtuoso della Lombardia.
E allora, perché da una decina d'anni in Italia non si costruisce più un termovalorizzatore? "Le municipalizzate con i bacini più grandi si sono mosse per prime, le altre dovrebbero coalizzarsi fra di loro per raggiungere un peso specifico sufficiente a rendere gli impianti remunerativi, ma non lo fanno. E poi gli investitori si spaventano per gli appalti poco chiari, le lungaggini amministrative e le proteste di piazza, senza contare le manovre della malavita". Il caso Sicilia è emblematico: la geografia e il volume di raccolta (2,7 milioni di tonnellate all'anno) ne farebbero un territorio molto appetibile, ma i ricorsi contro l'assegnazione dei 4 impianti previsti (3 a Falck e il quarto a Waste Italia) hanno bloccato il processo, provocando una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha bocciato la scarsa pubblicità data ai bandi e il sistema delle concessioni invece degli appalti. La gara pubblica di assegnazione è stata quindi re-indetta l'anno scorso, ma è andata comprensibilmente deserta.