Il rischio è sotto gli occhi di tutti. Il fotovoltaico italiano potrebbe finire come quello spagnolo.
In Spagna le tariffe incentivanti troppo generose hanno finito col drogare il mercato, facendo crescere il settore del fotovoltaico e il costo pubblico degli incentivi a ritmi non sostenibili, tanto che il governo, nel 2009, è dovuto correre ai ripari. «Le tariffe sono state abbassate con effetto retroattivo – ha spiegato l'esperto spagnolo David Perez, di Eclareon, al convegno di stamattina Governare la crescita del fotovoltaico, organizzato dal Kyoto Club – e sono stati introdotti dei tetti alla potenza incentivabile». L'effetto sul mercato è stato quello di un vero e proprio blocco, tanto che il giro d'affari del fotovoltaico spagnolo è passato dai 18 miliardi di euro del 2008 ad appena 650 milioni nel 2010, con la perdita di un terzo dei posti di lavoro del settore. Una vera e propria ecatombe, simile allo scenario che potrebbe aprirsi in Italia dopo l'approvazione del decreto Romani.
Ma da oggi si è accesa una protesta unitaria delle principali categorie di produttori (Aper, Assosolare, AssoEnergie Future, Gifi/Anie, Anev, Ises Italia) contro il provvedimento di riordino del sistema. Cuore delle azioni di protesta è stato il teatro Quirino a Roma, dove c'erano 2.000 persone tra cui anche il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. La contrarietà al provvedimento è arrivata anche in rete: dal collegamento via web tv con il teatro romano (in streaming con 450 micro-emittenti) all'apertura del sito www.sosrinnovabili.it (60.000 contatti in 4 giorni), fino alle condivisioni su Facebook per oltre 50.000 contatti e 8.000 sostenitori in poche ore, testimonianze su Skype e oltre 45.000 e-mail di protesta inviate al governo. I produttori chiedono essenzialmente di correggere il provvedimento approvato dal governo la scorsa settimana: in particolare di cancellarne la retroattività, considerata illegittima. Ma soprattutto, in vista dell'incontro di martedì 15 marzo convocato dal ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, chiedono di poter sedere al tavolo insieme con banche e Confindustria. Altrimenti, meditano su una manifestazione di piazza e non nascondono l'intenzione di considerare ''tutte le vie legali per far decadere questo decreto incostituzionale'', ricorrendo dal ''Tar, alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia Ue'', senza escludere la possibilità di ''avviare una class action''.
Gli effetti prodotti dal decreto che blocca gli incentivi al fotovoltaico al 31 maggio sono già evidenti, con le banche che ritirano i finanziamenti e i cantieri che chiudono. Ma è solo l'inizio. ''Sarebbe come chiudere la Fiat – ha detto Angelo Bonelli, presidente dei Verdi – si mandano di botto a casa 140.000 persone''. Intanto la Aecos, un'azienda della Sardegna con 30 dipendenti, porta la protesta anti-decreto sul tetto del proprio stabilimento, dove da tre giorni si alternano i lavoratori. ''Siamo soprattutto venditori e agenti bloccati – spiega Giampiero Pittorra, titolare dell'impresa – mentre mandiamo avanti il più possibile il lavoro degli installatori'' per tentare di anticipare a maggio ''le commesse previste per agosto ed oltre'' pari a ''1 megawatt'' che tradotti sono tra ''i 2 e i 3 milioni di euro''.
La ricetta per evitare un blocco analogo a quello che ha afflitto il mercato iberico, però, esiste. Prevede un taglio sostanziale degli incentivi (almeno del 20-30%) da programmare sul medio e lungo periodo, sul modello di quanto accade in Germania. «Il sistema tedesco – ha spiegato Alex Sorokin, di Interenergy, al convegno del Kyoto Club – funziona col meccanismo della feed-in-tariff: lo stato riconosce al produttore di energia fotovoltaica un certo incentivo, ma a questo non si aggiunge anche il prezzo di mercato dell'elettricità, come avviene in Italia. In questo modo, il costo complessivo per la collettività si riduce, e il rischio di “bolle” e specluazioni è inferiore». Gli imprenditori scelgono se incassare gli incentivi oppure vendere l'energia al prezzo di mercato, quando questo si rivela più conveniente. Questa, però, non è l'unica differenza rispetto al modello di casa nostra. «Le tariffe incentivanti tedesche – ha aggiunto Sorokin – si abbassano gradualmente in proporzione alla crescita del mercato e al calo dei prezzi degli impianti». La legge che regola il sistema feed-in-tariff tedesco viene revisionata ad intervalli regolari di quattro anni, garantendo in questo modo una certa stabilità al meccanismo e rassicurando gli operatori sulle possibilità di rientro degli investimenti.
Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, è scettico, da parte sua, sull'adeguatezza dell'obiettivo che l'Italia si è data in materia di sviluppo dell'energia solare. «Gli 8 Gigawatt di potenza fotovoltaica che il nostro Paese aveva scelto come target per il 2020 rappresentano una soglia fin troppo cautelativa, soprattutto se confrontati con i 52 Gw della Germania». Secondo Tabarelli, accontentarsi di un risultato del genere impedirebbe all'Italia di rispettare l'impegno assunto in sede comunitaria: soddisfare, entro il 2020, il 17% del consumo nazionale di elettricità con energia da fonti rinnovabili.