La guerra delle dighe infuria in silenzio. Scrive Giampaolo Russo, ex direttore affari istituzionali di Edison: "La Corte Costituzionale ha annullato per la seconda volta la norma nazionale volta a disciplinare il tema delle proroghe delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. Di fatto le motivazioni sono le medesime: in entrambi i casi, non passando dalla Conferenza unificata Stato-Regioni, è stata violata la potestà concorrente delle Regioni. Gli operatori del settore sono sempre più disorientati, almeno quelli le cui concessioni sono scadute nel dicembre 2010 (alcune decine) o scadono entro il 2015".
Come già spiegato in queste pagine, si tratta di un problema gravissimo per il sistema elettrico italiano. L'idroelettrico, con quasi 51 terawattora, copre quasi il 18% della produzione elettrica nazionale e rappresenta oltre i due terzi della produzione da fonti rinnovabili: i ricavi del settore sono di poco superiori ai 3 miliardi di euro. I primi cinque operatori con una quota cumulata di poco superiore al 76%, sono A2a, la valdostana Cva, Edison, Enel e Eon. Enel da sola ha il 51% e ha le concessioni in scadenza al 2029. Parliamo quindi di una produzione sensibilmente rilevante per il bilancio energetico nazionale per la cui disciplina sarebbe (stata) auspicabile una stabilità o quantomeno una prevedibilità degli interventi! Quale impatto per gli operatori? Mettiamo il caso di un operatore che ha acquisito una grande derivazione nel 2001 avente scadenza nel 2010: ai sensi del decreto Bersani del '99, si trovava con una concessione dotata di un diritto di prelazione, assimilabile de facto ad una perpetuità sostanziale. Oggi quell'operatore si trova con una concessione scaduta, senza visibilità né della proroga, né dell'eventuale gara con i relativi requisiti, né dei criteri di valorizzazione dei suoi beni, nel caso di mancato rinnovo, incluso il recupero degli investimenti.
Cosa è successo? La Commissione Ue ha contestato il diritto di prelazione, in quanto ostacolo al mercato interno. Dopo un negoziato, questa è stata rimossa in cambio di una proroga decennale, in qualche modo a titolo di ristoro per gli operatori. Qui arriviamo alla prima tappa del disastro: la Corte Costituzionale, in seguito ai ricorsi di alcune Regioni, abroga le disposizioni contestate. Siamo al gennaio 2008 e gli operatori, direttamente o per il tramite delle loro associazioni, si attivano per ottenere il ripristino della proroga. Ma le trattative vanno per le lunghe e nel gioco s'inseriscono gli appetiti della Lega, che riesce a includere nella finanziaria 2011 un emendamento che estende di cinque anni i diritti di sfruttamento dei bacini idrici per gli operatori tradizionali e in un pugno di province dell'Alta Italia (Como, Sondrio, Brescia, Verbania e Belluno) di sette anni aggiuntivi – totale: dodici anni – a patto che le società elettriche cedano le dighe a società miste controllate dalle province. In pratica, così si ripubblicizza il settore.
Una norma chiaramente illegittima, che a luglio è stata nuovamente bocciata dalla Corte Costituzionale su sollecitazione delle Regioni. Ma non tutte le Regioni sono d'accordo: la Lombardia di Roberto Formigoni, infatti, in attesa della sentenza, ha recepito il provvedimento leghista come legge regionale, dichiarando la superiorità della propria normativa su quella statale.
E così la confusione è completa.