L'energia verde batte la crisi. La corsa delle fonti rinnovabili è una delle poche storie di successo dell'economia globale in questa difficile congiuntura. Con 211 miliardi d'investimenti a livello mondiale, nel 2010 eolico, fotovoltaico e bioenergie hanno battuto per il terzo anno consecutivo gli investimenti nelle fonti fossili. In Italia, con un giro d'affri di 13 miliardi raddoppiato nell'ultimo biennio, il fatturato delle fonti pulite supera ormai l'1% del Pil. Ma la crescita di questo comparto grava pesantemente sulle tasche dei consumatori, con un impatto che nel 2011 arriverà a 4,8 miliardi di euro e che contribuisce a tenere il nostro prezzo dell'energia più alto del 25-30% rispetto alle meedie europee. Di più, la cifra complessiva che pagheremo in bolletta per promuovere le fonti rinnovabili è destinata a lievitare fino a 10-12 miliardi di euro all'anno da qui al 2020, secondo i calcoli dell'Authority, per poi calare progressivamente con la graduale eliminazione degli aiuti.
Gli incentivi servono per sostenere la crescita delle fonti pulite, che fanno fatica a competere in campo aperto con i combustibili fossili, penalizzate da tecnologie non ancora mature. Un kilowattora generato dal vento, ma soprattutto dal sole, costa ben di più di un kilowattora generato dal carbone o dal gas, e pone un problema di affidabilità con la sua intermittenza. Ma presenta altri vantaggi: non inquina e non si deve importare dall'estero, riducendo la nostra grave dipendenza energetica da Paesi inaffidabili. Per di più, non è soggetto all'altissima volatilità del mercato delle materie prime, che in questi anni ci ha riservato soltanto brutte sorprese. E' per questo che l'Unione Europea ha deciso di puntare molto su queste fonti e ha elaborato la strategia 20-20-20, che anche l'Italia deve applicare. Di conseguenza, nel 2020 le fonti rinnovabili dovranno coprire il 17% dei consumi energetici nazionali, in base alle direttive di Bruxelles. Il che si traduce in un obiettivo del 29% per i consumi elettrici, del 16% per il riscaldamento e del 6% per i trasporti. In pratica, da qui al 2020 il mix elettrico italiano dovrà essere coperto per quasi un terzo da fonti rinnovabili, pena multe salate dalla Commissione.
L'Italia è già a buon punto nel suo percorso: nel 2010 le fonti rinnovabili hanno coperto il 23% della nostra produzione elettrica, 70 terawattora su 300 complessivi, di cui oltre 40 prodotti dal cosiddetto "idroelettrico storico", quello delle grandi dighe, e meno di 30 dalle "nuove" rinnovabili. Per adeguarsi agli obiettivi comunitari, le fonti pulite devono arrivare a una produzione di 98 terawattora nel 2020, il 29% dei consumi elettrici nazionali previsti in quel momento. Considerando che il vecchio idroelettrico non è più espandibile, tutta la crescita è affidata alle nuove fonti. La produzione di eolico, fotovoltaico e bioenergie dovrebbe quindi raddoppiare in meno di dieci anni.
Ma per ora la corsa non è omogenea e viaggia con un doppio pedale. Mentre i generosi sussidi al fotovoltaico hanno scatenato un vero e proprio boom in questo settore, le altre fonti rinnovabili stanno crescendo più lentamente. Il fotovoltaico arriverà a toccare i 12 gigawatt installati a fine 2011, partendo da 1 gigawatt all'inizio del 2010: in due anni l'energia del sole nostrana è avanzata di 11 volte, mettendo a segno uno sviluppo superiore a quello della Germania, leader mondiale del fotovoltaico, con 23 gigawatt previsti a fine anno. Grazie a questo balzo, l'Italia è diventata campione mondiale nelle installazioni di nuovi pannelli, attirando una valanga di investimenti dall'estero. Per l'anno prossimo la crescita subirà per forza una frenata e le previsioni delle associazioni di categoria non vanno oltre i 3 megawatt installati, anche a causa della progressiva riduzione degli incentivi.
Sugli altri fronti, invece, il 2011 ha segnato un brusco rallentamento, soprattutto per l'eolico, che fino al 2009 cresceva a colpi di 1,2 gigawatt all'anno, ma quest'anno non andrà oltre i 6-700 gigawatt installati, chiudendo il 2011 a quota 6,5 gigawatt. "Di questo passo non riusciremo a centrare il target di 13 gigawatt al 2020, fissato dal piano di sviluppo del governo per ottemperare agli obblighi 20-20-20", fa notare il presidente dell'Associazione Nazionale Energia del Vento, Simone Togni, che comunque colloca le potenzialità eoliche della penisola ad almeno 16 gigawatt, quindi un po' più in là del target stabilito dal governo.
Il motivo del rallentamento è presto detto: mancano i decreti attuativi alla legge approvata in marzo, che serve ad applicare le indicazioni europee sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Mentre sul fotovoltaico il legislatore si è dato una mossa, varando i decreti attuativi in gran fretta per evitare un grave vuoto normativo, sulle altre fonti se l'è presa comoda e i decreti, che dovevano arrivare entro settembre, non si sono ancora visti. Di conseguenza, non si sa ancora quale remunerazione porteranno gli investimenti nell'eolico e nelle bioenergie dall'anno prossimo, dopo la scadenza degli incentivi attuali. E le banche non danno più finanziamenti a chi vuole investire in questi settori. Tanto che le imprese italiane dell'eolico, disturbate da tanta incertezza, vanno all'estero: nei primi nove mesi del 2011 addirittura il 71% degli investimenti in nuovi impianti è stato fatto fuori dai confini della penisola. Era il 30% nel 2010. Così, nell'anno in corso solo il 26% dei megawatt che portano la firma del made in Italy è stato allacciato alle nostre reti energetiche, secondo una ricerca di Althesys. Per il nuovo governo, è uno dei nodi che stanno venendo al pettine: fra i 300 decreti attesi dalle imprese ci sono anche questi. "Spero di avere i decreti pronti entro la metà di gennaio", anche "per facilitare gli investimenti", ha assicurato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, nella sua prima audizione alla Camera.
L'incertezza è aggravata dalla mancanza di un Piano Energetico Nazionale, che latita da vent'anni e che il governo Berlusconi aveva annunciato come "imminente" l'ultima volta nel settembre scorso, ma di cui non si è mai vista traccia. Per riattivare gli investimenti nelle infrastrutture energetiche, il nuovo governo dovrà quindi andare al di là degli incentivi, fornendo alle imprese – che nell'ultimo biennio hanno visto cambiare per ben sei volte la legislazione in materia di sostegno alle rinnovabili – una cornice di obiettivi chiari di lungo periodo, su cui potersi appoggiare per guardare un po' più lontano, dato che l'orizzonte temporale nel mondo dell'energia è sempre spostato molto in là, ben oltre i confini di una legislatura, per la natura stessa degli impianti che si vanno a realizzare. In questi primi giorni di gennaio il nodo arriverà al pettine.