Su Oxford splende una sole velato. Ma Henry Snaith, ricercatore in quella università, è convinto di poterlo convertire tutto con la sua pietra filosofale, la perovskite. Per questo Snaith, inserito da Nature nella lista dei dieci scienziati che hanno dato il maggiore apporto alla scienza nel 2013, ha fondato Oxford Photovoltaics, una startup che sta già facendo storia con le sue celle fotovoltaiche economiche ed efficienti, capaci di convertire anche sezioni dello spettro solare che il silicio non riesce a catturare, comprese quelle che illuminano i cieli inglesi. Basta meno di un micron di questo cristallo inorganico, spalmato come un inchiostro su qualsiasi supporto, anche flessibile, per ottenere un risultato analogo a quello delle celle solari in silicio, spesse 180 micron.
«Le perovskiti ibride organiche-inorganiche hanno dimostrato alti livelli di assorbimento della luce nelle celle solari, prima spalmate su un metallo-ossido mesoporoso e più recentemente come strato compatto in un’architettura di eterogiunzione planare», scrive Snaith, insieme ad Annamaria Petrozza, ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Milano, in un recente studio pubblicato su Science. Al di là delle definizioni complicate, il bello della perovskite è che in quattro anni di studio e sperimentazione è riuscita a raggiungere livelli di conversione paragonabili a quelli ottenuti dal silicio in sessant’anni di lavoro, dal 1954, anno della prima cella (efficienza: 2%), ad oggi.
Snaith assicura che le sue celle stanno migliorando rapidamente e ormai hanno superato un’efficienza di conversione del 15%, tipica di un pannello fotovoltaico tradizionale di media qualità. Le celle dello scienziato inglese sono molto leggere, quasi trasparenti e si possono ottenere in diverse sfumature di colori tenui, quindi facilmente integrabili nelle facciate degli edifici. D’altro canto, le celle alla perovskite contengono solo materiali low cost e sono più facili da produrre, perché non hanno bisogno di alte temperature o dell’ambiente super-asettico necessario alle produzioni con il silicio, e quindi costano nettamente di meno. Si parla di un costo dei pannelli di 10-20 centesimi di dollari per watt, contro gli attuali 70-80 centesimi.
La nuova tecnologia utilizzata da Snaith ha convinto Kevin Arthur, un imprenditore innovativo con vent’anni di esperienza nei semiconduttori, a farsi carico dello spinoff dall’università di Oxford. Quattro anni e tre cicli di investimenti dopo, Oxford PV ha raccolto 4,2 milioni di sterline, ha tre soci finanziari e 14 dipendenti. Le prime vendite sono previste nel 2016. La competizione con il re silicio sarà durissima e Arthur non si illude di sbaragliare la concorrenza, ma se le celle alla perovskite continuano a migliorare a questo ritmo, fra pochi anni potrebbe bastare il sole di Oxford per alimentare un intero edificio, con pochi centesimi di più rispetto al normale vetro delle finestre.