Incentivi che vanno, incentivi che vengono. Unica certezza: le bollette elettriche sono sempre più care per i piccoli consumatori.
Da un lato, partono le misure “spalma incentivi” per le fonti rinnovabili, con cui si vorrebbe arrivare a un taglio di 7-800 milioni all’anno, dall’altro lato entra in vigore lo sconto alle imprese grandi consumatrici di energia, che comporta un aggravio di almeno 800 milioni all’anno per quelli che ne consumano di meno, cioè le piccole imprese e le famiglie. Alla fine si pareggia il conto? Neanche per idea. Per l’applicazione delle misure “spalma incentivi” mancano infatti le disposizioni attuative, che hanno ancora 60 giorni di tempo per essere varate dall’entrata in vigore, a fine febbraio, del decreto Destinazione Italia. Quindi del famoso taglio agli incentivi per le rinnovabili, voluto dall’ormai ex ministro Falvio Zanonato, alla meglio se ne riparla a fine aprile. E secondo fonti vicine al Gestore dei Servizi Energetici, ci sono buone probabilità che, cambiato il governo, sulle modalità di attuazione di questo taglio si decidano ulteriori interventi. Lo sconto ai grandi consumatori di energia a spese dei piccoli consumatori, invece, pesa già sulle bollette di quest’anno.
Sono oltre tremila i grandi consumatori che si sono iscritti all’elenco delle imprese ammesse allo sconto, pubblicato dalla Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico: dalle acciaierie Riva a Italcementi, passando per le acque minerali San Benedetto. Per rientrare nell’elenco, basta dimostrare di consumare moltissima elettricità: almeno 2,4 gigawattora all’anno, con un costo complessivo che superi il 2% del fatturato. Il premio a chi consuma di più è finanziato direttamente dalle bollette delle famiglie e delle imprese che consumano di meno, andando a generare una nuova componente, la cosiddetta Ae, che coprirà le nuove agevolazioni a favore delle grandi industrie. La nuova componente, da sola, va a determinare, secondo l’Authority, un aumento complessivo dell’1,6% della spesa complessiva legata agli oneri generali di sistema, in aggiunta a ulteriori aumenti su voci già esistenti, relativi alla distribuzione e al dispacciamento dell’elettricità. E non finisce qui. Nel decreto Destinazione Italia, oltre alle misure “spalma incentivi” per le fonti rinnovabili, c’è anche l’assegnazione di fondi per una nuova centrale a carbone nel Sulcis, che peserà sulle bollette per 60 milioni di euro l’anno nei prossimi 20 anni, per un totale di 1,2 miliardi di euro complessivi.
Paradossalmente, quindi, le bollette elettriche continuano a salire, mentre i costi del kilowattora continuano a scendere. L’obiettivo dell’Authority di una rimodulazione della struttura tariffaria potrà portare, in prospettiva, a una riduzione sostanziosa degli oneri di sistema, ma per ora si va nella direzione opposta.
L’unico tentativo di tagliare l’aggravio annuale è appunto il meccanismo “spalma incentivi” per le fonti rinnovabili, gravato però da molti elementi d’incertezza. Si tratta di una rimodulazione degli incentivi alle rinnovabili, volta a valorizzare l’intera vita utile degli impianti: per gli operatori del settore è prevista la possibilità volontaria di accedere a incentivi ridotti, ma prolungati di 7 anni. In caso di una vasta adesione, questa misura potrebbe portare a un taglio deciso degli oneri annuali, pur allungando il periodo di abbattimento del costo complessivo a carico dei consumatori. Ma l’adesione alla “spalmatura” è volontaria e quindi non è chiaro quanti sceglieranno questa opzione, anche se nel decreto sta scritto chiaramente che chi non aderisce non potrà effettuare interventi di efficientamento sugli impianti esistenti, condizione che gli operatori del settore hanno definito “un ricatto” e che colpisce soprattutto gli impianti eolici, dove gli interventi di efficientamento sono particolarmente importanti. Tutti gli altri, poco inclini a dilazionare le entrate degli investimenti in corso, probabilmente non si piegheranno al “ricatto”. In questo caso, la diminuzione annuale delle bollette sarebbe marginale. Per invogliare gli operatori ad aderire bisognerebbe aumentare i vantaggi, offrendo loro una significativa rivalutazione della redditività sul lungo periodo, ma in quel caso sarebbe alla fine un aggravio per i consumatori, non un risparmio del costo complessivo. Un bel dilemma per chi si appresta in questi giorni a definire un meccanismo attuativo accettabile per tutti e coerente con gli obiettivi di alleggerimento degli oneri annuali per i consumatori. Per questo non è escluso che il nuovo ministro ci rimetta mano.