Il biofuel per alimentare il pacemaker

Un pacemaker che dura per sempre. Un apparecchio acustico che non ha bisogno di cambiare continuamente la batteria. Una protesi che funziona senza fili. Per l’uomo bionico, fino ad oggi, questi erano solo sogni. Al matrimonio perfetto fra uomo e macchina mancava un tassello importante: dove trovare l’energia elettrica per far funzionare i dispositivi impiantati. Ma i due scienziati francesi Philippe Cinquin e Serge Cosnier l’hanno inventato. Per questo arrivano in finale all’Oscar europeo dell’innovazione, l’European Inventor Award 2014, nella categoria della Ricerca.

Fin dagli anni Sessanta i centri della ricerca medica ci stanno girando intorno. Cinquin, 58 anni, professore d’Informatica medica all’università Joseph Fourier di Grenoble e medico nell’ospedale dell’ateneo, ha cominciato a interessarsi all’argomento nel 2003. A quell’epoca era già noto come un pioniere degli interventi robotizzati e aveva contribuito, fra l’altro, alla fondazione di Uromems, una start-up impegnata nello sviluppo di sfinteri urinari artificiali. Ma come alimentare questi dispositivi senza ricorrere alle batterie? Chiunque porti un pacemaker lo sa: le batterie rappresentano una soluzione, ma anche un grosso problema, perché si esauriscono. In media dopo otto anni il pacemaker si scarica e fino ad oggi non c’era altra soluzione che sostituirlo, con un’operazione rischiosa e costosa, solo per rimpiazzare la batteria. Ma presto questo scenario potrebbe cambiare.

L’idea era di usare un combustibile già presente nel corpo umano per alimentare anche questi piccoli apparecchi, che hanno bisogno di una quantità minima di elettricità per funzionare. Quale combustibile migliore del glucosio, che già circola nel nostro sangue per portare energia a tutte le cellule? Da qui parte la ricerca di Cinquin, che si rivolge a Serge Cosnier, capo del dipartimento di Chimica Molecolare nella stessa università ed esperto di bioelettrochimica, per sviluppare una mini-fuel cell capace di generare elettricità dallo zucchero. I due scienziati ci lavorano per anni insieme al loro team, che comprende anche Chantal Gondran e Fabien Giroud, e alla fine riescono a risolvere il rebus, con un dispositivo brevettato nel 2010.

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Gli scienziati francesi, combinando le loro conoscenze in due campi completamente diversi, hanno sviluppato anzitutto una membrana speciale e una copertura protettiva, che assicurano da un lato la pulizia interna della cella a combustibile e dall’altro prevengono le infiammazioni. In secondo luogo hanno realizzato una matrice a base di nanotubi di carbonio, che imbevuta di enzimi serve a produrre elettricità dal glucosio. La loro cella a combustibile raggiunge la densità energetica di un watt per centimetro quadro e quindi ha una potenza sufficiente, ad esempio, per alimentare un pacemaker. In questo modo Cinquin e Cosnier hanno reso possibile lo sviluppo di protesi che sfruttino il glucosio come unica fonte di energia. La loro cella è stata già sperimentata sugli animali e presto potrebbe fare il suo debutto nella normale pratica medica degli impianti.

In base a un recente studio di Bcc Research, il mercato globale per la microelettronica degli impianti medici valeva oltre 11 miliardi di dollari nel 2010 e si avvicinerà ai 18 miliardi nel 2016. Ma questa prima biofuel-cell a glucosio potrebbe trovare un mercato anche al di là degli usi sanitari. C’è chi prevede, a medio termine, l’uso di dispositivi analoghi nei laptop o nei cellulari. Più in generale, una fuel cell alimentata da un combustibile pulito, economico e diffuso come lo zucchero potrebbe rivoluzionare il mondo degli accumuli di energia, un tassello fondamentale nello sviluppo delle fonti rinnovabili.