Un’esplosione di colori in un paesaggio monocromatico accoglie il viaggiatore che incontra un campo fiorito di quinoa nel deserto della Bolivia. Queste piante, alte come persone, coperte di boccioli dal viola al rosso, dall’arancione al giallo, contengono i famosi semini che ormai tutti conosciamo, il sogno dei nutrizionisti, grazie alle loro proprietà particolari.
Ricca di fibre e minerali, come fosforo, magnesio, ferro e zinco, la quinoa è un’ottima fonte di proteine vegetali, superando con una quota del 14-28% il frumento, l’avena, il mais e il riso. Contiene tutti e dieci gli amminoacidi essenziali (fatto raro nel regno vegetale), vitamine importanti, come E e B2, e grassi in prevalenza insaturi. Pur non appartenendo alla famiglia botanica delle graminacee, i suoi semi, macinati, forniscono una farina molto ricca di amido, che non contenendo glutine può essere consumata dai celiaci. Per di più, le piante di quinoa sono estremamente resistenti, riescono a svilupparsi a 3.600 metri d’altitudine e anche più in alto, dove c’è poco ossigeno e il suolo è così salino che non cresce nient’altro. Di conseguenza, la quinoa sta facendo la fortuna dei contadini delle Ande, dov’era considerata un cereale sacro fin dai tempi degli inca. Da quando è stata scoperta dai consumatori del mondo industrializzato, la domanda globale continua a crescere a ritmi sostenuti e il prezzo è triplicato dal 2006 a oggi, con ricadute non sempre positive per i Paesi d’origine, Bolivia e Perù, dove ormai chi coltiva quinoa preferisce venderlo all’estero piuttosto che consumarlo in loco, impoverendo così la magra dieta locale.
Ma proprio mentre la quinoa è al centro della scena internazionale (il 2013 è stato l’anno internazionale della quinoa per l’Onu), un altro semino magico si sta affacciando sulle nostre tavole, l’etiope teff. Si tratta del cereale più piccolo del mondo (1,5 millimetri di lunghezza per 1 di diametro) e con appena un pugno di questi semi è possibile coltivare un intero campo. In Etiopia ricopre oltre il 20% delle terre coltivate e dà lavoro a più di sei milioni di agricoltori. Macinati, i semi del teff producono una farina completamente priva di glutine, quindi adatta anche ai celiaci, che in Etiopia si usa soprattutto per cucinare l’injera, una grande crêpe spugnosa considerata l’alimento di base della cucina locale e usata sia per disporvi sopra tutte le pietanze di un pasto, sia per aiutarsi a portare il cibo alla bocca con le mani. Ma la farina di teff, molto ricca di carboidrati, fibre, calcio, potassio, ferro e proteine, nonché di ben otto amminoacidi essenziali, si può utilizzare anche per cucinare pane, pizze e dolci, che rimangono facilmente digeribili perché privi di glutine.
Da qui l’interesse che si sta risvegliando anche nei Paesi industrializzati per questo antico cereale, che l’Etiopia vorrebbe diffondere nel mondo, come un secondo regalo dopo quello del caffè. Così, soprattutto grazie all’azione di espatriati, il semino etiope sta entrando nel grande circuito dei negozi di alimentazione naturale, macinato come farina o nel muesli, cotto nel pane o nei biscotti, ma quasi mai in semi com’è facile trovare la quinoa o gli altri cereali antichi, dal kamut all’amaranto, perché le autorità etiopi temono la concorrenza di quei Paesi, come la Spagna o l’Australia, dove sta cominciando a diffondersi la coltivazione del teff. Per il governo di Addis Abeba il teff sta diventando un’ossessione nazionale e nella speranza di trasformarlo in una gallina dalle uova d’oro è stato già deciso il raddoppio della produzione nel raccolto del 2015, in modo da soddisfare sia il fabbisogno interno che la crescente domanda estera, con la collaborazione della Fondazione Syngenta, il braccio non-profit del colosso agrochimico svizzero.
Continua, quindi, la moda degli antichi cereali, che negli anni ha portato alla ribalta semi dimenticati come il miglio, considerato in Occidente solo foraggio per animali, o il grano saraceno, un tempo usato soprattutto nei blinis russi o nella kasha della cucina slava e oggi diffusissimo nei reparti di cibo per celiaci. Sarà difficile che questi semi magici riescano a correggere qualche carenza alimentare fra i nutritissimi consumatori occidentali, ma è vero che in alcuni casi sono molto adatti alle esigenze di chi è intollerante al glutine. E la loro riscoperta rende certamente le nostre tavole più ricche.