Non più solo tetti solari. Tutte le parti di un edificio, comprese finestre e facciate, potranno diventare generatori di energia pulita, grazie a lastre di plexiglas o di vetro arricchite da speciali nanoparticelle fluorescenti, che catturano e concentrano la luce del sole, trasformandola in elettricità.
“Questa tecnologia, di cui abbiamo fornito la prova di principio, è immediatamente scalabile per l’industria e può essere utilizzata nella green architecture”, spiega Sergio Brovelli, del dipartimento di scienza dei materiali dell’Università di Milano Bicocca, che ha messo a punto il nuovo dispositivo insieme a Francesco Meinardi, in collaborazione con il gruppo guidato da Victor Klimov del Los Alamos National Laboratory, negli Usa. “La possibilità di realizzare dispositivi di qualsiasi forma e colore, inoltre, offre nuove opportunità nel design di elementi architettonici intelligenti”, precisa Brovelli.
I concentratori solari luminescenti sono dispositivi costituiti da una lastra plastica o vetrosa in cui vengono incorporate particelle otticamente attive, dette cromofori, che assorbono parte della luce solare e la riemettono all’interno della lastra. La luce è quindi convogliata verso i bordi sfruttando il fenomeno della riflessione totale interna, così come avviene nelle fibre ottiche utilizzate nelle telecomunicazioni, dove è trasformata in energia elettrica da piccole celle solari poste lungo gli spigoli. Scegliendo in modo opportuno il grado di trasparenza e il colore del dispositivo, è possibile trasformare delle normali finestre in elementi fotovoltaici a tutti gli effetti senza sensibili aumenti di costo.
Il vantaggio della scoperta risiede nella possibilità di estendere su vaste superfici il fenomeno della riflessione interna. Fino ad oggi, infatti, non era possibile realizzare concentratori solari luminescenti di dimensioni sufficienti per un impiego in contesti reali, a causa del fatto che i cromofori standard, siano essi molecole o nanoparticelle, riassorbono gran parte della loro stessa fluorescenza. Questo processo, noto come riassorbimento, comporta il fatto che la luce emessa da un cromoforo venga riassorbita dal cromoforo successivo, in modo tale che la sua intensità diminuisce progressivamente, fino ad azzerarsi, avvicinandosi al bordo della lastra.
La realizzazione di materiali privi di riassorbimento è quindi la sfida principale per l’affermazione di questa tecnologia. Nel lavoro pubblicato su Nature Photonics, realizzato grazie a finanziamenti della Comunità Europea, dell’US Department of Energy e della Fondazione Cariplo, gli scienziati hanno sviluppato una tecnica per incorporare nei concentratori plastici degli speciali cristalli colloidali di dimensioni di pochi milionesimi di millimetro. In questi nuovi nanomateriali, una particella funge da involucro per una seconda nanoparticella ancora più piccola, in una geometria che ricorda un nocciolo ricoperto dal suo guscio.
“Il vantaggio di questa struttura è che permette di disaccoppiare i processi di assorbimento e di emissione della luce: l’assorbimento avviene nel guscio, che immediatamente trasferisce l’energia accumulata al nocciolo, da cui avviene l’emissione luminosa”, spiega Francesco Meinardi. Siccome il guscio è trasparente all’emissione del nocciolo, la fluorescenza si può propagare senza perdite per distanze molto lunghe, permettendo di realizzare dispositivi di grandi dimensioni, nell’ordine di migliaia di centimetri quadrati e quindi utilizzabili in contesti architettonici reali.