Chilometro zero addio, ormai siamo già oltre. Arriva la lattuga del piano di sopra o la melanzana del grattacielo di fronte: non più nate negli orti urbani sopravvissuti al cemento, ma cresciute ai piani alti, una volta riservati ai grandi manager e oggi dedicati alle fragole e ai pomodori. Non è fantascienza, come si può constatare all’Expo 2015 nella Vertical Farm dell’Enea, piccolo prototipo di tre metri per tre, su quattro metri e mezzo di altezza, capace di riprodurre l’intero ciclo agricolo naturale nel chiuso di un padiglione fieristico.
Oltre a richiedere meno spazio rispetto all’agricoltura tradizionale, le coltivazioni all’interno della Vertical Farm non hanno bisogno di suolo, ma solo di acqua e di elementi nutritivi: il sistema idroponico consente a qualsiasi tipo di pianta di crescere in substrati alternativi alla terra – come ad esempio la torba pressata, l’argilla espansa o la lana di roccia – immersi in acqua con soluzioni nutritive a riciclo continuo. La crescita delle piante è poi assicurata da un’illuminazione a led che replica le condizioni naturali e accelera la fotosintesi clorofilliana. La Vertical Farm rappresenta una delle soluzioni più interessanti dell’agricoltura del terzo millennio per la produzione di ortaggi fuori suolo, multistrato, a ciclo chiuso integrale (riciclo totale dell’acqua e dei fertilizzanti), in ambiente protetto e climatizzato, senza utilizzo di pesticidi e insetticidi. Il prototipo dell’Enea, esposto nel Future Food District, sarà il primo esempio italiano ad applicare tutti questi sistemi.
Ma in giro per il mondo le fattorie verticali sono già una realtà. Negli Stati Uniti, ad esempio, sorgono come funghi. Green Spirit Farms ne ha già costruite tre, fra cui la più grande del mondo a Scranton, in Pennsylvania, dove si coltivano 17 milioni di piante, sistemate su sei strati sovrapposti su una superfice di tre ettari. Green Sense Farms ha aperto l’anno scorso a Chicago, su 30mila metri quadri di superficie distribuiti fra 14 torri, che possono dare 25 raccolti all’anno, totalmente biologici, consumando un quarto dell’energia e un decimo dell’acqua normalmente impiegate per coltivare gli stessi ortaggi in campo aperto o in serra, grazie a un sistema di led rossi e blu appositamente dosati da Philips per la crescita degli ortaggi. A Singapore, nei quattro piani della fattoria di Sky Greens, la luce invece viene da fuori: un ascensore muove in verticale ogni fila di contenitori, per cui lattuga e cavoli cinesi salgono a turno fino al tetto, in pieno sole.
In Italia, i primi tentativi sono stati fatti proprio dall’Enea con Skyland, di cui Vertical Farm è una versione più “sintetica”. Skyland è un progetto molto ambizioso, pensato per diventare completamente autonomo dal punto di vista energetico, sfruttando il fotovoltaico, il geotermico e il biogas prodotto con i rifiuti della filiera agroalimentare, un obiettivo riassunto nel modello dei 5 zeri: zero power, zero emission, zero waste, zero distance, zero pesticides. Pensato come un grattacielo di 30 piani con una superficie totale di 42mila metri quadri, per soddisfare il fabbisogno di frutta e ortaggi di 25-30mila abitanti, Skyland assomiglia molto ai primi progetti del biologo newyorkese Dickson Despommier, il pionierie dell’agricoltura verticale, che voleva sfamare la Grande Mela con 170 grattacieli di questo tipo, a pianta quadrata di due ettari (l’equivalente di un isolato medio a Manhattan). Lotti vacanti o inutilizzati di questa dimensione a New York ce ne sono 1.200: lui li ha contati.