La quarta rivoluzione industriale può offrire opportunità formidabili. «A patto di trovarsi dalla parte dei rivoluzionari, non da quella dei rivoluzionati», commenta Guy Ryder, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. In un mondo dove quasi metà dei lavoratori hanno competenze tecnologiche basse se non nulle (in base ai dati Ocse), la nuova frammentazione dell’attività produttiva rischia di beneficiare solo i giovani con competenze elevate e lasciare a terra tutti gli altri.
Per non farsi travolgere dal cambiamento, ma anticiparlo, è invece interesse di tutte le economie avanzate adeguare le competenze dei lavoratori a cui mancano. Internet si usa ormai già oggi in tutte le professioni, ma ci sono vasti segmenti della popolazione, anche nei Paesi avanzati dell’Ocse, che sono a malapena in grado di connettersi. Il problema non emerge solo nelle economie periferiche, ma anche negli Stati Uniti, in Germania o in Canada, dove quasi il 60% dei lavoratori, in base ai dati dell’Ocse, è quasi completamente privo di abilità informatiche. Per questo sarà centrale nei prossimi anni la formazione continua, a cui ora accedono solo in pochi e quasi mai quelli a cui servirebbe di più.
Dai dati Ocse emerge ad esempio l’enorme gap d’istruzione fra i lavoratori con qualifiche minime e massime negli Stati Uniti: solo il 22% dei primi ha partecipato a un corso di formazione nell’annata precedente al sondaggio, contro il 69% dei secondi. Ma un gap analogo esiste anche negli altri Paesi presi in esame: nel Regno Unito dal 19 al 65%, in Germania dal 10 al 67%, in Italia dall’8 al 44%. La partecipazione ai corsi di formazione e l’innalzamento dei livelli d’istruzione, secondo l’Ocse, andrebbe promossa soprattutto fra i lavoratori che fanno un mestiere destinato a sparire nel prossimo decennio, in base a una scala di priorità ben precise, in modo da farne beneficiare in primis le categorie più a rischio. Già oggi, 3 anni di educazione in più possono innalzare significativamente la retribuzione: negli Stati Uniti la differenza è del 23%, in Germania del 22%, in Spagna del 18%, nel Regno Unito del 17% e in Italia del 12%. Per consentire ai lavoratori di adattarsi alla convivenza con le macchine, sarà importante identificare le inadeguatezze e giocare d’anticipo sulle competenze deficitarie, mettendo in piedi delle politiche dell’educazione e della formazione professionale proattive.
Attrezzare meglio i lavoratori in termini di competenze è importante anche per affrontare il secondo cambiamento in atto, quello della disintermediazione. È questa, in base allo studio «Future of jobs» presentato al Wef, la tendenza più importante nel mondo del lavoro di oggi. Non l’automazione, non l’intelligenza artificiale, ma l’economia on-demand. «Le nuove tecnologie rendono il lavoro possibile da ogni luogo e in ogni momento, mentre le imprese ormai possono distribuire e frammentare i compiti in un modo che prima non era possibile», indica il rapporto. E cita come esempio rappresentativo la Gig Economy, i cui un lavoro una volta affidato a un dipendente può essere assegnato, attraverso una piattaforma, a una moltitudine di lavoratori autonomi. Questa tendenza all’ousourcing è destinata a crescere e rischia di beneficiare solo giovani capaci di interagire rapidamente in un mondo digitalizzato, escludendo tutti gli altri. Si torna così alla necessità di adeguare la formazione. E anche qui la domanda ultima è sempre la stessa. Come organizzare una formazione continua efficace? E a chi addossare i costi? Queste sono le domande a cui la quarta rivoluzione industriale non ha ancora dato risposte.