L’industrializzazione dell’edilizia

Gli insediamenti umani diventano sempre più densi e popolati, ma il mondo delle costruzioni non è cambiato molto dalle origini. Con oltre sette miliardi di individui in via di urbanizzazione e altri due miliardi in arrivo da qui al 2050, senza nuove modalità che mettano al centro l’efficienza, la sostenibilità e il recupero, l’edilizia rischia di trovarsi impreparata all’appello della crescita demografica e dei cambiamenti climatici. Circolarità, digitalizzazione e condivisione sono le parole d’ordine di REbuild, il principale momento d’incontro fra gli operatori orientati al rinnovamento delle costruzioni, che si tiene il 21-22 giugno a Riva del Garda e l’11 ottobre a Milano.

L’importanza di un nuovo approccio alle riqualificazioni ha ancora più rilevanza in un Paese come il nostro, dove il 70% degli edifici è stato realizzato prima del 1976, anno d’introduzione della prima legge sull’efficienza energetica, e il 25% non è mai stato riqualificato. Non a caso, ormai il mercato del recupero ha doppiato il valore delle nuove costruzioni, con oltre 83 miliardi di ristrutturazioni nel 2015 (oltre ai 36 miliardi di manutenzioni ordinarie), contro i 42 miliardi investiti nel nuovo, secondo i dati del Cresme. E in base alle previsioni il mercato della ristrutturazione sostenibile continuerà a crescere, mentre quello del nuovo diminuirà nel tempo, fino a pesare appena il 2% nel 2050.

Complessivamente, i 2 miliardi di metri quadrati del patrimonio edilizio italiano che necessitano di riqualificazione energetica potrebbero generare almeno 500 miliardi di euro per il settore dell’edilizia, con ricadute enormi sul sistema energetico nazionale. Solo una riqualificazione leggera degli edifici pubblici potrebbe consentire un taglio del 20% alla bolletta dello Stato, che vale 6 miliardi di euro all’anno, portando 1,2 miliardi di risparmi. Con un retrofit più approfondito il taglio potrebbe arrivare al 30-35%: una <i>spending review </i>facile facile.

La circolarità in edilizia non è solo una questione di recupero energetico. «Riusare il vasto patrimonio pubblico e privato, lascito di oltre sessant’anni di pace, rappresenta la condizione necessaria per dotare le città di rinnovate condizioni di qualità e competitività all’altezza delle ambizioni del Paese, senza ulteriore consumo di suolo», spiega Thomas Miorin, fondatore di REbuild e direttore di Habitech, il distretto tecnologico trentino dell’energia e dell’ambiente. Ma perché i vantaggi dell’economia circolare possano dispiegarsi appieno, è necessario uno sforzo tecnologico di grande portata. La rigenerazione del patrimonio immobiliare necessita di maggiore efficienza e costi più bassi, quindi di nuovi processi produttivi.

Il punto di partenza dell’edilizia è particolarmente inefficiente: dal 1990 al 2015 la produttività per addetto (cioè il tempo di un addetto che si traduce in valore nel prodotto finito) è cresciuta meno dello 0,5% l’anno, contro il 2% del manifatturiero, di conseguenza nella manifattura è all’88% mentre nell’edilizia non supera il 43%. Un dato che riflette la necessità di ripensare alla filiera edilizia attraverso un processo di convergenza, sia sul piano tecnologico che sul piano organizzativo. Ci vuole una vera e propria industrializzazione delle costruzioni, con cantieri standardizzati destinati principalmente ad assemblare elementi prefabbricati, come già accade nei progetti più avanzati. E ci vuole un’infastruttura digitale, che consenta di trasporre un edificio dal file al prodotto finito, basandosi su una modellistica internazionale.

Con l’edilizia circolare cambia anche la progettazione, che dovrebbe puntare a spazi modulari riconfigurabili e volumi flessibili, capaci di creare ambiti condivisibili fra diversi nuclei e forme di produzione alimentare urbana, spingendo verso il massimo utilizzo possibile degli ambienti. Come l’auto rimane ferma 23 ore su 24, anche gli spazi sono perloppiù inutilizzati: il 60% degli uffici europei restano vuoti, persino durante i giorni lavorativi, mentre il 50% dei nuclei familiari afferma di vivere in spazi troppo grandi, a causa del progressivo invecchiamento della società. Questo ha delle ricadute anche sull’inefficienza dei consumi energetici: il 20-40% dell’energia consumata in un immobile va sprecata e potrebbe essere conservata solo con nuovi modelli comportamentali. Per non parlare della riqualificazione radicale degli edifici, che ormai ha raggiunto notevoli livelli di industrializzazione e potrebbe essere applicata a tappeto, con ampi margini di miglioramento delle prestazioni energetiche (oltre il 50%). Sia gli edifici nuovi che le riqualificazioni a energia quasi zero sono realtà disponibili sul mercato, anche se poco diffuse.

Ricadute notevoli ci sono anche sulla fine vita di un edificio. Nella demolizione in Europa, il 54% dei materiali finisce in discarica. Si può fare molto meglio: in alcune nazioni la percentuale scende al 6%. Ci sono già edifici pensati come “banca di materiali” e altri in grado di essere completamente smontati e rimontati con nuove funzioni d’uso, senza perdite. In complesso, l’applicazione a tappeto dei principi dell’economia circolare all’edilizia, in base ai calcoli più attendibili, potrebbe generare benefici economici di oltre mille miliardi all’anno entro il 2030 per l’Europa. Una bella spinta dopo questi anni di crisi.