Anni fa ci preoccupavamo del “picco del petrolio”. Il fenomeno, descritto per la prima volta dal geologo Marion King Hubbert nel 1956 con la famosa Hubbert’s Curve, identificava l’anno 2000 come il momento in cui la produzione globale di petrolio avrebbe cominciato a calare, con effetti prevedibilmente disastrosi sul benessere dell’umanità e il rischio di conflitti devastanti. Poi sono arrivati i giacimenti di idrocarburi non convenzionali e hanno sparigliato le carte. Ma a forza di scrutare i drammatici cambiamenti sul lato dell’offerta, abbiamo perso un po’ di vista il lato della domanda. E così ci siamo lasciati sfuggire un altro picco, ben più conreto del primo: il picco dell’auto.
Da un lato, nel mondo industrializzato calano le distanze pro capite coperte in macchina, dall’altro lato si riduce il traffico automobilistico complessivo. Negli Stati Uniti, in base a una serie di rilevamenti, il picco sarebbe stato già raggiunto nel 2004. Nel Regno Unito nel 2008. Ma anche in altri Paesi, come Francia, Germania, Svezia, Giappone e Australia, sono state osservate consistenti riduzioni, già prima dell’attuale crisi economica. In Cina e India il traffico automobilistico è in aumento. Ma anche qui sta cominciando a calare nelle metropoli, perché le autorità cinesi stanno investendo molto nei trasporti pubblici e hanno introdotto delle restrizioni al numero di auto immatricolate nelle parti più ricche del Paese, per evitare colossali ingorghi. Di conseguenza molti studi autorevoli, fra cui il più recente di Ihs Automotive, prevedono che il mercato dell’auto raggiungerà nel giro di questo decennio un picco annuale di 100 milioni di auto vendute (nel 2013 sono stati 82 milioni). In base a queste analisi, da qui in poi, contrariamente alle proiezioni delle compagnie automobilistiche, questo numero potrà soltanto calare.
Il progessivo inurbamento della popolazione mondiale è una delle ragioni principali del fenomeno: nel prossimo decennio, un miliardo di persone si trasferirà in città. Per chi vive in una metropoli, il cambiamento si vede a occhio nudo: il traffico in entrata a Londra è calato del 28% tra il 1994 e il 2003, prima ancora della Congestion Charge. Nel 2004, con l’introduzione della tassa, c’è stato un ulteriore calo del 12%. A Parigi e a New York, meno del 50% degli abitanti possiede una macchina. In tutte le città dove i trasporti pubblici funzionano bene e dove c’è una buona offerta di car sharing, possedere una macchina sta diventando un peso inutile.
Poi ci sono motivi generazionali: fra i diciottenni americani di oggi solo il 61% ha la patente, mentre alla fine degli anni Settanta i diciottenni patentati erano l’86%. Fra il ’96 e il 2006, il numero di miglia annuali guidate dai maschi americani quarantenni si è ridotto del 30%. La macchina non è più uno status symbol, tanto che una ricerca di McKinsey ha appurato una preferenza per il car-sharing fra i cosiddetti Millennials, cioè i ragazzi arrivati alla maggiore età dopo il 2000.
In breve, il veicolo che nel secolo scorso ha aperto all’umanità un’era d’incomparabile mobilità personale, oggi in molti casi non è più il mezzo di trasporto ideale. L’espansione disordinata dei sobborghi attorno alle città del mondo industrializzato, nata proprio con la diffusione di massa delle automobili, ora sta rientrando e cede il passo a una nuova cultura urbana. Nelle città, oltre ai mezzi pubblici, crescono le biciclette e le mini-auto elettriche in car-sharing, mentre calano le auto. Dal 2004 in poi, secondo uno studio di Michael Sivak, negli Stati Uniti cala costantemente il numero di veicoli, cala il numero di miglia percorse in auto e cala il consumo di benzina.
E qui si ritorna al “picco del petrolio”. Per Nick Butler, del King’s College di Londra, un esperto di energia certamente non nemico dei petrolieri, la produzione mondiale di petrolio si fermerà a 100 milioni di barili al giorno entro il 2020 e poi comincerà a declinare (oggi siamo a 90 milioni). Non per mancanza di materia prima, ma per il calo della domanda.
In prospettiva, gli abitanti delle città ordineranno un passaggio per andare al lavoro da una app dello smartphone e avranno a disposizione un’auto elettrica senza conducente, controllata via satellite, capace di evitare il traffico e portarli a destinazione rapidamente. Le conseguenze per i produttori sono di vasta portata: dovranno adattarsi a un mondo con meno auto comprate e più auto condivise, con più auto che si guidano da sole e meno bolidi che sfrecciano sulle autostrade. La domanda chiave l’ha fatta Tim Ryan, vice presidente di PricewaterhouseCoopers: “Vendete auto o vendete mobilità?” E’ questa la richiesta che dovranno abituarsi a soddisfare, se non vogliono correre il rischio di diventare irrilevanti.