Chilometro zero addio, ormai siamo già oltre. Arriva la lattuga del piano di sopra e la melanzana del grattacielo di fronte, nate e cresciute non più negli orti urbani sopravvissuti al cemento, ma ai piani alti dei grattacieli, una volta riservati ai top manager e oggi dedicati alle fragole e ai pomodori. “Le fattorie verticali si moltiplicano negli ex quartieri industriali, da Tokio a Zurigo, da Amsterdam a Newark, è un intero settore nuovo che sta crescendo rapidamente e attira investimenti, nuove tecnologie dedicate, talenti, capitali dall’industria privata e dalla mano pubblica”, commenta Dickson Despommier, professore alla Columbia University e pioniere delle fattorie verticali, che giovedì terrà a battesimo AquaFarm, la due giorni in programma alla Fiera di Pordenone dedicata all’acquacoltura sostenibile, all’algocoltura e, ovviamente, all’agricoltura verticale.
Per Despommier, che ha cominciato a progettare fattorie verticali già negli anni Novanta, quando il concetto era ancora sconosciuto e non esistevano esempi pratici, sarà la prima volta in Italia: “Non sono riuscito a venire all’Expo di Milano, dove pure si è parlato molto di fattorie verticali”, si rammarica. Ma stavolta è curioso di venire in Europa, dove le iniziative si moltiplicano e perfino l’Agenzia spaziale tedesca si è impadronita delle sue idee visionarie per sperimentare nuovi modi di alimentare il pianeta, sotto la direzione di Daniel Schubert, direttore del progetto Eden (Evolution & Design of Environmentally-closed Nutrition-Sources), che ha già costruito a Brema una Vertical Farm 2.0.
“Le piante alimentari, in realtà, non hanno bisogno di suolo, ma solo di acqua, luce ed elementi nutritivi”, spiega Despommier. “L’agricoltura tradizionale imita la natura, ma non è un sistema particolarmente efficiente per le coltivazioni alimentari, soprattutto in un’epoca di fortissima pressione sulle città, dove convergono ogni giorno milioni di nuovi abitanti, che hanno bisogno di soluzioni alimentari rapide ed efficiaci”. Grazie alle nuove tecnologie, l’agricoltura verticale è la risposta più rapida a queste esigenze: Despommier e i suoi studenti hanno calcolato che basterebbero 50 edifici di 30 piani ciascuno, con una base di un quarto di isolato, per fornire la metà delle calorie necessarie all’alimentazione degli abitanti di New York. Lotti vacanti di questa dimensione a New York ce ne sono 1200: lui li ha contati. Non a caso, è l’Asia il continente in cui le fattorie verticali crescono di più: Giappone, Cina e Singapore devono far fronte a un forte inurbamento e questo è il modo migliore per produrre cibo rapidamente in aree urbane, a chilometro zero, con riciclo totale di acqua e fertilizzanti, senza utilizzo di pesticidi e insetticidi.
Il sistema idroponico consente a qualsiasi tipo di pianta di crescere in substrati alternativi alla terra, come la torba pressata, l’argilla espansa o la lana di roccia, immersi in acqua con soluzioni nutritive a riciclo continuo. La crescita delle piante è poi assicurata da un’illuminazione a led che accelera la fotosintesi clorofilliana. “Nelle fattorie verticali più efficienti si riesce a produrre un raccolto ogni sei settimane”, fa notare Despommier, che è particolarmente ammirato dai progetti allargati alla produzione di proteine, come quello di GrowUp a Londra o di UrbanFarmers all’Aia, basati sull’acquaponica, un sistema capace di mettere in sinergia la coltivazione di ortaggi con l’allevamento di pesci. Uno dei progetti più avanzati, che piace molto a Despommier, è quello di InFarm a Berlino, dove si punta a concentrare la coltivazione e la vendita nello stesso edificio. “I clienti potranno scegliere via tablet, attraverso un sistema di monitoraggio digitale, le verdure appena maturate ancora sulla pianta, in modo da avere prodotti freschissimi, molto più saporiti ripetto a quelli che si trovano nei normali supermercati”, rileva Despommier, che ha già confrontato molti ortaggi coltivati al chiuso con quelli cresciuti in campo aperto e non ha alcun dubbio sulla superiorità dei primi, anche dal punto di vista del sapore.
Questo è uno dei motivi del boom delle fattorie verticali, che secondo Despommier diventeranno con il tempo sempre più standardizzate e competitive nei confronti dell’agricoltura in campo aperto. Negli Stati Uniti, ad esempio, sorgono come funghi. Green Spirit Farms ne ha già costruite tre, fra cui la più grande del mondo a Scranton, in Pennsylvania, dove si coltivano 17 milioni di piante, sistemate su sei strati sovrapposti su una superfice di tre ettari. Green Sense Farms ha aperto l’anno scorso a Chicago, su 30mila metri quadri di superficie distribuiti fra 14 torri, che possono dare 25 raccolti all’anno, totalmente biologici, consumando un quarto dell’energia e un decimo dell’acqua normalmente impiegate per coltivare gli stessi ortaggi in campo aperto o in serra, grazie a un sistema di led rossi e blu appositamente dosati da Philips per la crescita degli ortaggi. A Singapore, nei quattro piani della fattoria di Sky Greens, la luce invece viene da fuori: un ascensore muove in verticale ogni fila di contenitori, per cui lattuga e cavoli cinesi salgono a turno fino al tetto, in pieno sole.
In Italia, i primi tentativi sono stati fatti dall’Enea con Skyland, un progetto molto ambizioso, pensato per diventare completamente autonomo dal punto di vista energetico, sfruttando il fotovoltaico, il geotermico e il biogas prodotto con i rifiuti della filiera agroalimentare, un obiettivo riassunto nel modello dei cinque zeri: zero power, zero emission, zero waste, zero distance, zero pesticides. Pensato come un grattacielo di 30 piani con una superficie totale di 42mila metri quadri, per soddisfare il fabbisogno di frutta e ortaggi di 25-30 mila abitanti, Skyland assomiglia molto ai primi progetti di Despommier, che all’inizio tutti avevano preso per un pazzo visionario. Oggi, invece, è arrivata l’ora dei riconoscimenti. Visionario sì, ma non pazzo.