La guida autonoma è il futuro dell’auto, ma per Mobileye è già presente. La società israeliana leader mondiale nei sistemi di guida assistita è stata acquisita questa settimana da Intel per 15,3 miliardi, una cifra record anche per un Paese abituato alle iperboli, che si candida a diventare il centro mondiale della ricerca e sviluppo. La mossa di Intel è la tappa più recente di una corsa ingaggiata da tutti i grandi della tecnologia, da Apple a Google, da Tesla a Samsung, per entrare in questo settore, non senza qualche inciampo strada facendo. Il caso di Otto, la startup acquisita per 680 milioni di dollari da Uber, che subito dopo è stata denunciata da Google per furto di proprietà intellettuale, rende l’idea della battaglia in corso. Il contenzioso tra Google e Uber, peraltro, ha a sua volta al centro una startup nata da tecnologia israeliana. Otto (che significa auto in ebraico) è stata fondata da Anthony Levandowski – l’ex dirigente di Google Car accusato di aver trafugato 14mila documenti riservati poco prima di lasciare Google – insieme all’israeliano Lior Ron, che ha sviluppato un sistema mirato alla guida autonoma dei Tir.
Tutte e due le società si sono sviluppate nel fiorente distretto israeliano dell’intelligenza artificiale, che ha al centro un dipartimento della Hebrew University a Gerusalemme, stabilmente nella top ten mondiale degli istituti di alta formazione in questo settore. Mobileye è stata fondata nel ’99 da Amnon Shashua, docente di informatica in quella università, e per molti anni ha solo investito in ricerca, senza guadagnare nulla. “I primi prodotti sono andati sul mercato nel 2008”, spiega ai giornalisti il responsabile sviluppo Lior Sethon, subito dopo l’annuncio dell’acquisizione. Oggi, Mobileye è leader mondiale nei sistemi Adas (Advanced Driver Assistance System), con oltre il 70 per cento del mercato. La sua tecnologie è utilizzata da tutte le case automobilistiche, tranne Daimler e Toyota, ed è montata su 15 milioni di veicoli, grazie a un algoritmo che insegna alle telecamere montate sulla macchina a monitorare il traffico e la strada meglio di un essere umano. “Il nostro sistema consente di ridurre gli incidenti dell’80%, in base alle verifiche sulle flotte che l’hanno installato”, precisa Sethon. Non è poco, in un mondo dove ogni anno muoiono sulle strade 1 milione e 250mila persone. La rivoluzione delle auto senza incidenti cambia i parametri economici e assicurativi del mezzo. Si moltiplicano dunque i governi che incentivano i sistemi di Mobileye, da Taiwan a Singapore, o addirittura li impongono alle categorie di veicoli più pericolose, come in Israele, dov’è obbligatorio al di sopra delle 3,5 tonnellate. Da qui la solida crescita di Mobileye, che quest’anno dovrebbe superare i 500 milioni di dollari di ricavi. Ma la scommessa di Intel è più focalizzata sul futuro che sul presente e punta ai veicoli senza guidatore. Per questo ha firmato un accordo con Mobileye e Bmw per portare 40 macchine della Serie 7 ai test su strada entro la fine dell’anno.
Non saranno le prime: negli Stati Uniti Uber ha inaspettatamente bruciato la concorrenza mettendo su strada 43 taxi senza guidatore, che già da settembre scorrazzano i primi passeggeri-cavia nel centro di Pittsburgh e di Phoenix. In contemporanea la startup nuTonomy, cofondata dall’italiano Emilio Frazzoli, ingegnere aerospaziale dell’Mit, ha lanciato i suoi in un quartiere di Singapore.
“Il nostro sistema si basa su tre pilastri: percezione a 360 gradi grazie a telecamere e sensori, localizzazione accurata grazie alle mappe proprietarie precisissime (nell’ordine dei 10cm contro i 5m del Gps) e capacità di negoziare la strada in un gioco complesso, con molti attori”, precisa Sethon. Di nuovo, l’asso nella manica sta nell’algoritmo, che fa convergere i tre pilastri in un unico cervello, oltre alla capacità del sistema di comprimere l’enorme volume di dati processati in piccoli pacchetti da 10 Kilobyte per chilometro, che gli consente di operare agevolmente nei limiti delle attuali reti wireless. Alla prova su strada, nel traffico di Gerusalemme, l’Audi su cui è montato il sistema Mobileye viaggia disinvolta cambiando corsia in scioltezza, schivando moto e camion fermi in seconda fila, inserendosi senza esitare nelle rotatorie e rallentando con morbidezza in vista del semaforo. Una guida serena ma non soporifera, con lo sprint necessario per non scatenare i clacson in un contesto indiavolato come quello mediorientale.
Intel, Bmw, Volkswagen e le altre case che lavorano con Mobileye puntano chiaramente a trovare lo standard di questa industria. Ma c’è ancora molta strada da fare. “Prima del 2020 vedremo sulle strade solo qualche centinaio di modelli, per lo più per sperimentazioni”, secondo Sethon, secondo cui ci vorrà ancora una decina d’anni per ingranare la quinta, con l’apertura di un vero e proprio mercato. Le sue stime coincidono con quelle di Markit Ihs, che colloca l’adozione di massa tra il 2025 e il 2035, quando si dovrebbe salire da 600mila veicoli robot venduti l’anno fino a 21 milioni.
Da qui ad allora, lo shopping è destinato a svilupparsi. Dopo l’acquisizione di VisLab, lo spinoff dell’università di Parma comprato nel 2015 dalla rivale californiana di Mobileye Ambarella per 30 milioni, le cifre sono decisamente aumentate: dai 680 milioni pagati da Uber per Otto agli oltre 8 miliardi pagati da Samsung per Harman Kardon fino al colpo grosso di Intel da 15,3 miliardi questa settimana. Per adesso sono i giganti della tecnologia ad affrontarsi per trarre vantaggio dall’auto che si guida da sola. O al massimo i produttori di componenti, come l’inglese Delphi che ha appena chiuso un’alleanza con Mobileye per un pacchetto di automazione totale chiavi in mano, da offrire entro il 2019 alle varie case per installarlo su modelli preesistenti. Le compagnie automobilistiche, invece, stanno a guardare e rischiano di restare allo stadio di “produttori di lamiera”. Ma non è detta l’ultima parola.