Pale sempre più grandi, parchi eolici sempre più potenti. L’energia del vento in Europa cresce soprattutto in mare, con 11 gigawatt eolici offshore installati dal Baltico al Mare del Nord, più di tutta la potenza eolica italiana, e altri 3 gigawatt in via di realizzazione. WindEurope, l’associazione europea dell’energia del vento, ha identificato altri 26 gigawatt già autorizzati e prevede un raddoppio del parco eolico offshore entro il 2020. Ma il grande nodo da sciogliere per far decollare l’eolico offshore è il problema dei costi, che lo rende meno competitivo delle pale piantate in terra. Tutto il settore è concentrato sull’innovazione per raggiungere il massimo dell’efficienza, grazie alle turbine sempre più grandi, ma soprattutto grazie alla rapida evoluzione dei cavi sottomarini, che fanno la differenza rispetto alle installazioni terrestri.
A Pikkala, nella fabbrica più nordica di Prysmian, nasce una parte importante di questi risparmi. L’ultimo nato, un cavo estruso prodotto con tecnologia P-Laser, utilizza un isolamento termoplastico completamente riciclabile al posto del tradizionale polietilene reticolato. “L’impiego di materiale termoplastico consente di beneficiare della ‘tecnologia zero-gas’, che riduce le emissioni di CO2 di 1 tonnellata a kilometro nella fase di produzione”, spiega Max Livigni, responsabile di Prysmian per la Finlandia. “I cavi P-Laser sono in grado di funzionare a temperature di un 20% più elevate rispetto a quelli tradizionali, di conseguenza trasportano più energia con meno perdite e riescono a tagliare del 10-15% i costi di tutto il sistema”, precisa Livigni. In più, grazie alla riciclabilità completa, su ogni chilometro di cavo dismesso si possono recuperare 500 chili di plastica di alta qualità. Un progresso di non poco conto in un mondo dove la domanda di energia da fonti rinnovabili è in aumento e le reti di distribuzione hanno bisogno di cablaggi sempre più performanti. Non a caso, grazie alla competitività dei suoi cavi, Prysmian ha coperto l’anno scorso oltre il 40% dei collegamenti fra le pale offshore e il continente.
“Nel 2015 gli investimenti e le installazioni offshore sono raddoppiati rispetto all’anno precedente”, spiega Giles Dickson, numero uno di WindEurope, in visita all’impianto di Pikkala. Nell’anno da poco concluso si sono investiti 13,3 miliardi di euro, che hanno portato alla connessione di 754 nuove turbine, dislocate in 15 progetti, per un totale di oltre 3mila megawatt, tutti concentrati in tre Paesi: la Germania con 2300 megawatt, seguita dal Regno Unito con 550 megawatt e dall’Olanda con 180 megawatt. Nei tre Paesi è peraltro in corso lo sviluppo di altri 6 progetti eolici offshore, che porteranno alla realizzazione di altri 1900 megawatt. Nello scenario più favorevole, le pale in mare potrebbero coprire il 25% del fabbisogno elettrico europeo al 2030, con un risparmio di ben 18 miliardi di euro all’anno sulle importazioni di combustibili fossili, secondo l’ultimo rapporto di Ernst & Young.
Ma l’innovazione sui cavi non serve solo per l’eolico, in un continente dove si punta ormai da anni all’Unione Energetica. “Il Nord e il Sud Europa non consumano energia negli stessi momenti. Nel Nord il picco della domanda è invernale, quando il buio è più fitto e il freddo più intenso, mentre a Sud è estivo, quando i condizionatori vanno a tutto vapore. Una visione continentale del mercato elettrico permetterebbe di soddisfare i picchi invernali del Nord con la produzione eccedente del Sud, invertendo il flusso durante l’estate, senza bisogno di costruire nuove centrali. Una rete interconnessa consentirebbe un risparmio per i consumatori europei fino a 40 miliardi all’anno”, fa notare Massimo Battaini, responsabile del settore energetico di Prysmian. La soluzione è tirare cavi invece di costruire nuove centrali, come si sta facendo fra i Paesi nordici, che ne hanno già posato uno tra la Norvegia e il Regno Unito e ora puntano a realizzare un’altra interconnessione, sempre fra il Regno Unito e la Danimarca: il Viking Link sarà la più lunga interconnessione sottomarina del mondo e gli appalti si chiuderanno l’anno prossimo. Prysmian sa già che sarà della partita.
L’Unione Energetica è il progetto europeo più ambizioso in questo settore dai tempi della Comunità per il carbone e l’acciaio e il suo obiettivo ultimo è integrare completamente i 28 sistemi nazionali, diventando al tempo stesso leader mondiale nelle fonti rinnovabili. La visione nazionale della produzione elettrica, che domina oggi l’Europa, costringe infatti ogni Paese a provvedersi di un parco di generazione in grado di soddisfare i picchi di fabbisogno, con un buon margine per far fronte a ogni emergenza. Un’idea altamente inefficiente, che impone il mantenimento di una serie di impianti solo per farli entrare in funzione poche ore all’anno o anche mai. Basterebbe aggiungere le interconnessioni sufficienti a liberare i flussi di energia da un Paese all’altro, per evitare la necessità di impianti di backup. In particolare la crescita della produzione instabile da fonti rinnovabili aumenta le necessità di compensare su scala continentale. Per questo l’Europa punta a un mercato unico dell’energia elettrica: la libertà dei kilowattora di attraversare le frontiere è stata equiparata a una quinta libertà di movimento. Ma ben dodici Stati su 28 non rispettano l’obiettivo minimo d’interconnessione con le reti elettriche dei Paesi vicini, pari ad almeno il 10% della capacità di produzione interna di elettricità, che era stato fissato per il 2005. Ad oggi, in media, non si va oltre l’8%, con Spagna e Portogallo quasi completamente tagliati fuori dal mercato europeo e diversi colli di bottiglia altrove, anche sulla barriera delle Alpi, che separa l’Italia dal resto del continente. Ma Bruxelles sta spingendo molto in questa direzione, con un nuovo target al 15%, e quindi la strada è già segnata. I consumatori ringraziano.