Perdite di rete in media al 35%, ma si
arriva anche al 70%. Acqua che esce a singhiozzo dai rubinetti,
soprattutto al Sud. Un terzo dei corpi idrici di superficie che non
raggiungono gli standard corretti di qualità ambientale. Rete
fognaria che ancora non serve il 15% dei cittadini. Depuratori
inadeguati o addirittura inesistenti per un italiano su tre.
Questa è la situazione delle risorse
idriche italiane, che sono mal gestite, ma sufficienti. A fronte di
circa 300 miliardi di metri cubi all'anno di precipitazioni, abbiamo
una disponibilità complessiva di oltre 50 miliardi di metri cubi di
acqua dolce utilizzabile e rinnovabile, spiega l'ultimo Rapporto
Generale sulle Acque di Federutility, l'associazione dei servizi
locali che riunisce all'Aquila, dal 6 all'11 ottobre, oltre 400
aziende idriche nel Festival dell'Acqua, insieme a rappresentanti del
governo e del mondo scientifico. Il grado di utilizzo, indubbiamente
intenso, sfiora l'80% delle risorse disponibili, con ampie variazioni
fra il Sud e il Nord. Ma non siamo di fronte a una vera e propria
carenza. La metà di questi consumi serve per irrigare i campi, oltre
il 30% va alla produzione industriale ed energetica e meno del 20 per
cento è destinato ad usi civili. Con una media nazionale di 2 metri
cubi – o duemila litri – al giorno per abitante, i prelievi degli
italiani dalla rete sono circa doppi in confronto alle medie europee
e anche le perdite di rete sono quasi il doppio dei nostri vicini
nordici.
La situazione, dunque, non è
drammatica. Basterebbe gestire bene le risorse che abbiamo per
superare tranquillamente l'emergenza, malgrado la minaccia del
riscaldamento del clima. Sembra facile, ma non lo è.
L’Italia convive, infatti, con un
grave deficit infrastrutturale nel settore degli acquedotti e della
depurazione. Su 337mila chilometri di rete, ad esempio, si calcola
che 170mila siano da rottamare o da riparare e ne andrebbero posati
almeno altri 50mila, per rendere efficace il servizio in tutto il
Paese. A questo fine dovrebbero ripartire gli interventi
infrastrutturali, con un costo complessivo stimato in oltre 60
miliardi. Ma per adesso è tutto fermo, in attesa della riforma
complessiva del settore, con l’effettiva operatività dei distretti
idrografici, la ridefinizione dei loro confini e la revisione dei
piani di gestione.
Chi deve finanziare gli investimenti
nel sistema idrico? E' intorno al tema della tariffa, sulla cui
definizione è al lavoro l'Autorità per l'energia, che il settore
idrico s'interroga. "Il grosso degli investimenti deve venire
dalla bolletta", ha detto Erasmo D'Angelis, sottosegretario alle
Infrastrutture e Trasporti, alla recente assemblea generale di
Federutility, aggiungendo che comunque il governo "cercherà di
reperire qualche risorsa pubblica, che potrebbe aggirarsi intorno a
1-1,5 miliardi". Il cuore dovrebbe comunque essere la tariffa.
Ma l'Authority dell'energia, a cui si aggiungerà presto la parola
"acqua" nel nome e che dal primo gennaio definisce anche le
tariffe idriche nazionali, è molto prudente su questo punto. "La
tariffa non può essere tutto. Se rispecchiasse interamente i
fabbisogni per gli investimenti sarebbe un piè di lista. Seguire la
realtà con la regolazione tariffaria può rivoltarsi contro come un
boomerang", ha detto Guido Bortoni all'assemblea. Il presidente
dell'Authority immagina piuttosto un quadro più articolato per
finanziare gli investimenti, come "due collateral, che da soli
non sono sufficienti, ma comunque contribuiscono". Il primo è
una maggiore chiarezza sui valori di subentro delle concessioni e il
secondo è uno strumento finanziario ad hoc, i cosidetti hydro bond,
"che crediamo possano essere uno dei migliori strumenti che
possiamo offrire". Come per le tariffe energetiche, l'Authority
punta insomma a procedere sulla strada dei costi standard, per
rendere più selettiva la regolazione e mettere le aziende nelle
condizioni di sfidare i costi standard.
Il livello a cui punta Bortoni,
comunque, sembra ben lontano dagli 80 euro all'anno per abitante, che
secondo Federutility permetterebbero al settore di raccogliere quei
4-5 miliardi di euro l'anno capaci di colmare il gap rispetto agli
standard internazionali. Un obiettivo, quello di 80 euro, che Bortoni
giudica "molto pesante". Per coprire gli investimenti già
stimati nei Piani d’Ambito, 65 miliardi di euro per i prossimi 30
anni, ci vogliono comunque almeno 40 euro per abitante secondo
Fedrutility, per una media annuale di 2,2 miliardi. Nel segmento
della fognatura e della depurazione, infatti, l’Italia vive una
vera e propria emergenza nazionale, che ha già causato una condanna
da parte della Corte di Giustizia Ue, con multe che potranno arrivare
a 715.000 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell'adeguamento
agli standard europei. Entro fine anno questo dilemma andrà sciolto.