Eolico col vento in poppa. Malgrado la crisi, anche nel 2009 la crescita degli impianti italiani ha sfiorato il 40% (per l'esattezza +38,5%), raggiungendo i 4.898 megawatt di potenza, distribuiti su 294 campi eolici. E la corsa all'energia del vento non si ferma: nel primo semestre del 2010 la potenza installata è cresciuta di un altro 10% a 5.400 megawatt. I dati escono dal rapporto sull'eolico del Gestore dei servizi energetici.
Il business del vento, quindi, fa ancora gola, nonostante le incertezze autorizzative: mediamente trascorrono 4 anni prima di poter accendere un impianto, ma ci sono casi anche di dieci anni. Per gli investimenti, che si aggirano sui 2 milioni per megawatt, i tempi di breakeven si allungano così a 5-10 anni. Non poco, eppure giacciono domande di connessione alla rete per 90mila megawatt. Un dato stratosferico, "ma irreale – osserva Paolo Guaitamacchi, segretario generale di Aper, l'Associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili, e amministratore delegato delle Fattorie del vento – dovuto ai tempi autorizzativi e di sviluppo così lunghi e all'allacciamento in rete così difficile che gli operatori inoltrano diverse domande sperando di vederne approvata almeno una in tempi ragionevoli".
Il volume d'affari nel settore raggiunge livelli sempre più elevati, alla luce degli investimenti in corso e di quelli programmati. Se si considerano i circa 1.400 megawatt installati nel solo 2009, in termini finanziari gli investimenti – tra capitali privati e bancari – hanno raggiunto la cifra di 2,5 miliardi, quasi esclusivamente destinati alla realizzazione di centrali eoliche nel Mezzogiorno, dove c'è più vento. Una manna per la malavita organizzata, a partire da molti finti "sviluppatori" che ricercano i siti di potenziale interesse, elaborano piani preliminari e una volta ottenuta l'autorizzazione, con in mano un progetto cantierabile, lo passano alla mafia. "Un mercato con remunerazioni che si aggiravano nel 2008 intorno agli 8 milioni per un'autorizzazione unica alla costruzione di un impianto da 40 megawatt", spiega Giuseppe Mastropieri, direttore dell'Osservatorio WindIT di Nomisma Energia.
Finto "sviluppatore", ad esempio, era Vito Nicastri, di Alcamo, re del vento in Sicilia e in Calabria, ritenuto dagli inquirenti la longa manus imprenditoriale del boss latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, al quale il Tribunale di Trapani il 14 settembre ha sequestrato un patrimonio di circa 1,5 miliardi. "Ma oggi, per effetto concomitante della crisi finanziaria e del calo della redditività dagli investimenti eolici, il mercato delle autorizzazioni si è sgonfiato e i prezzi stanno evolvendo verso soglie più congrue rispetto all'effettivo valore generato", aggiunge Mastropieri. E' segnale di una certa maturazione del mercato, che farà scendere anche l'interesse della malavita organizzata, sempre presente in qualsiasi business che cresce molto, soprattutto se il resto dell'economia è fermo.
A dieci anni dall'installazione delle prime pale, l'Italia è al terzo posto in Europa con 5,4 gigawatt di potenza installata a giugno 2010, poco sopra Francia (4,5 gigawatt) e Regno Unito (4 gigawatt), ma molto dietro Germania (25,8 gigawatt) e Spagna (19,1 gigawatt). La parte del leone – per ragioni naturali – la fa il Sud, che da solo ospita il 98% della potenza installata: in sole tre regioni (Puglia, Campania e Sicilia) si concentrava a fine 2009 il 60% degli impianti. Ora la scommessa per l'eolico italiano è raggiungere l'obiettivo di 16mila megawatt installati al 2020, che il governo si è posto nel suo Piano d'azione nazionale per le rinnovabili, consegnato quest'estate a Bruxelles per soddisfare gli obblighi del programma europeo 20-20-20. Una scommessa che sarà possibile vincere solo grazie alla crescente competitività della tecnologia, come ha spiegato qualche giorno fa il segretario generale del Global Wind Energy Council, Steve Sawyer, alla fiera eolica tedesca di Husum. Con turbine da 3 o 4 megawatt ciascuna, completamente diverse da quelle da 1 megawatt che si usavano all'inizio, diventa più facile moltiplicare la capacità produttiva di un campo eolico, fino ad arrivare a potenze equivalenti a quella di una comune centrale a gas. E diventa doveroso puntare a emanciparsi finalmente dai costosi incentivi statali.