Emergenza sì, emergenza no. Il deficit idrico in Italia sta diventando cronico. Nell' ultimo decennio si è registrato un
calo del 20% della portata dei principali fiumi italiani, con relativa
riduzione della produzione idroelettrica. E non saranno i pacchetti di risparmio predisposti a intervalli regolari dalla Protezione Civile a rimettere sui binari il treno deragliato dell'
approvvigionamento idrico nazionale. La crisi però può mettere in luce
un dato di fondo: l' acqua è un bene prezioso. E come tale va pagata.
Solo così gli italiani – famiglie, agricoltori e industriali –
smetteranno di sprecarla. «Bisogna adattarsi agli effetti di un clima
sempre più arido – commenta Mauro D' Ascenzi, vicepresidente di
Federutility, l' associazione che raggruppa tutte le utility italiane
operanti nel settore dell' acqua e del gas – passando dalla lunga
tradizione di politica della domanda a una nuova stagione della
pianificazione e gestione della risorsa disponibile». In pratica, se i
bacini naturali non sono più efficienti come una volta, è l' efficienza
dell' uomo che deve sopperire alla loro funzione. «L' acqua, che un
tempo veniva raccolta dai nevai e dai ghiacciai durante l' inverno e
poi rilasciata a poco a poco nella stagione calda in cui più serve all'
uomo, ora dev' essere raccolta e conservata da noi – sostiene D'
Ascenzi -. Va distribuita in modo corretto senza disperderla e
utilizzata con parsimonia, contenendo i consumi e incrementando l'
efficienza degli usi». A partire da un settore strategico come quello
agricolo, principale colpevole e al tempo stesso vittima di questa
crisi. L' agricoltura in Italia si beve 20 miliardi di metri cubi all'
anno di acqua, ossia il 49% del totale disponibile, una percentuale
altissima (e probabilmente sottostimata), che ci pone ben oltre la
media europea del 30%. Al secondo posto c' è l' industria che usa il
21%, quindi la rete civile per il 19%, infine il settore energetico,
che tra produzione idroelettrica e raffreddamento delle centrali arriva
all' 11%. L' utilizzo irriguo, oltre a prelevare di più, è anche quello
che restituisce meno acqua all' ambiente, attorno al 50% rispetto al
90% che ritorna disponibile dopo gli usi civili e industriali. A prezzi
irrisori. I cittadini italiani la pagano 52 centesimi di euro al metro
cubo, la metà della media europea, ma sempre più del prezzo stracciato
fatto agli agricoltori, che spendono fino a 100 volte di meno. E solo
in pochi casi vengono fatturati i reali consumi agricoli: su 190
consorzi di bonifica, solo 10 li contabilizzano, mentre tutti gli altri
fanno pagare un forfait annuo sulla base della tipologia di colture e
degli ettari. Un sistema che non incentiva certo un consumo improntato
al risparmio. La proposta che tutti gli esperti mettono al primo punto
di una nuova politica dell' acqua, dunque, è la revisione completa del
sistema di tariffazione. «Altro che acqua libera per tutti!», è la
critica di Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente e
autore di un prezioso libro bianco sull' emergenza idrica, a uno slogan
spesso ripetuto nei raduni ambientalisti. «Anzi – insiste Ciafani – qui
ci vuole un affondo della forza pubblica contro chi scava pozzi abusivi
attingendo alle falde nel sottosuolo senza pagare un centesimo; ci
vuole un censimento preciso dei pozzi, come prescritto dalla legge
Galli del ' 94, mai applicata. Serve un meccanismo di premi e
penalizzazioni che valorizzi le esperienze virtuose e gravi sui
consumatori più grandi, come nel caso delle aziende d' imbottigliamento
delle acque minerali, che pagano meno di un centesimo al metro cubo una
risorsa che, messa in vendita sugli scaffali di un supermercato, a noi
costa 500-1.000 volte di più, garantendo ai produttori profitti da
capogiro». Stesso discorso sui consumi agricoli. «Bisogna cambiare –
precisa Ciafani – il sistema della vendita a forfait, garantita dalla
quasi totalità dei consorzi di bonifica». Solo così si spingeranno gli
agricoltori a ripensare il sistema d' irrigazione, quasi totalmente
fondato sulla modalità a pioggia, per riconvertirlo ai sistemi di
microirrigazione e a goccia, che possono garantire almeno il 50% del
risparmio di acqua utilizzata. «Per compiere questa piccola rivoluzione
– propone Ciafani – il mondo agricolo dev' essere incentivato, magari
con strumenti di agevolazione fiscale simili a quelli che promuovono l'
efficienza energetica». E poi bisogna avviare
lo sfruttamento per usi agricoli o industriali delle acque reflue, che
oggi vanno perse. Un nuovo meccanismo di prezzo s' impone anche per la rete
idrica ad uso civile, ridotta a un colabrodo che lascia per strada il
42% dell' acqua immessa (il primato è di Cosenza con il 70%). Per
ripararla servono soldi. «Da dove vengono? Che io sappia – è la
spiegazione di D' Ascenzi – o vengono dalle tasse o da un inasprimento
delle tariffe. Bisogna industrializzare l' intero settore. Chi
avvertirà di più la crisi idrica quest' estate non saranno le aree dov'
è piovuto di meno, ma quelle dove l' acqua non è stata
"industrializzata". In alcune zone c' è un sacco d' acqua eppure la
gente muore di sete. In California piove molto meno che in Sicilia, ma
hanno quantità incredibili d' acqua per attività irrigue».