La marea nera che sommerge le coste della Louisiana s'ingrossa: dai 5 ai 25mila barili di greggio si riversano ogni giorno nel Golfo del Messico dal pozzo di petrolio che Bp stava trivellando quando la piattaforma Deep Horizon è esplosa. Per chiudere questo enorme rubinetto che perde, il sistema più rapido è cercare di rimettere in sesto la valvola che non ha funzionato, mandando a 1.500 metri di profondità un sottomarino con un braccio teleguidato via cavo, per operare sulla testa di pozzo. Un intervento complicatissimo, che infatti per ora è fallito. Ma non per colpa dei due robot della guardia costiera americana, che sono stati utilizzati nel tentativo. Si tratta di due Rov (Remote Operated Vehicles) molto sofisticati, che fanno parte di un mercato, quello della robotica sottomarina, ormai consolidato e in fortissima crescita. Nel 2009 per questo tipo di robot sono stati spesi 1,7 miliardi di dollari a livello globale. Ma secondo l'ultimo rapporto targato Douglas-Westwood, in questo quinquennio ne serviranno almeno altri 550 per soddisfare la domanda crescente, che dovrebbe arrivare a 3,2 miliardi nel 2014. E i veicoli teleguidati via cavo sono solo uno dei due segmenti principali del mercato complessivo. L'altro segmento rilevante è quello degli Auv (Autonomous Underwater Vehicles): ce ne sono già 629 in giro per il mondo e in questo decennio ne serviranno almeno altri 1200 secondo Douglas-Westwood, per un valore di 2,3 miliardi di dollari, ma si potrebbe arrivare anche a 1800 unità, per 3,8 miliardi di dollari. Gli assoluti dominatori di questo mercato sono i norvegesi: il colosso militare Kongsberg ha acquisito due anni fa l'americana Hydroid – non senza polemiche vista la rilevanza strategica del settore – che produce Remus, il sottomarino autonomo più diffuso sul mercato. Ma si stanno affermando anche i battelli di superficie senza equipaggio, utilizzati come i droni aerei soprattutto per scopi militari, dalla sorveglianza delle coste alle operazioni antimine: qui prevalgono decisamente gli israeliani. La differenza essenziale fra le due categorie di robot sottomarini è la presenza o meno di un cavo che li collega alla stazione di pilotaggio. "Per intervenire fisicamente su un impianto vengono usati quasi sempre veicoli telecomandati via cavo", spiega Massimo Caccia, fra i massimi esperti italiani di robotica sottomarina, responsabile della sezione di Genova dell'Istituto di studi sui sistemi intelligenti e l'automazione del Cnr. Il motivo è semplice: con il cavo si può immettere potenza e quindi dare più forza ai bracci teleguidati, consentendo anche una maggiore interazione con il pilota. In più, via cavo si possono trasmettere molti più dati alla base. "I veicoli autonomi, invece, registrano con telecamere e sensori una massa di dati, che poi vengono estratti in superficie", precisa Caccia. L'ultima frontiera di questo tipo di robot è lo sviluppo di funzioni di comportamento adattivo, che inducono reazioni "intelligenti" agli input ricevuti, per adattare sempre più i loro movimenti ai dati raccolti sul campo. "In pratica, si cerca di far prendere direttamente a loro le decisioni necessarie per condurre al meglio la propria missione". Nelle situazioni di emergenza o di guerra, una valutazione rapida della situazione e una risposta pertinente, possono risultare fondamentali. "Questa è la direzione che stanno prendendo i nostri studi", ragiona Caccia, che ha già al suo attivo lo sviluppo, insieme ai colleghi dell'Issia, di due Rov – Roby e Romeo – e di due veicoli di superficie senza equipaggio, Charlie e Alanis. "In Italia c'è un enorme bacino di competenze in materia di robotica sottomarina, non solo dentro al Cnr, ma anche nell'Isme (Interuniversity Center Integrated Systems for Marine Environment), che si ritrova anche nel tessuto produttivo ligure, in particolare nel distretto tecnologico di Genova dei sistemi intelligenti integrati e in quello delle tecnologie marine di La Spezia – fa notare Caccia – da cui stiamo cercando di stimolare la nascita di un polo italiano in questo campo così promettente".
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