Eni e Gazprom sono alla stretta finale sull'accordo che consentirà agli italiani lo sfruttamento dei giacimenti all'estremo Nord della Siberia occidentale e segnerà l'ingresso del colosso russo in Libia. Eni e Edison scoprono insieme un giacimento di gas nel canale di Sicilia e vanno a caccia di licenze nell'upstream norvegese. Eni e BG combattono in Kazakhstan per l’esenzione dalla tassa sulle esportazioni in vigore dallo scorso luglio. A2A e Iride chiudono un onerosissimo contratto di fornitura con Gazprom, ma Hera si perde per strada. L'incubo degli approvvigionamenti domina i sonni delle compagnie energetiche che non dispongono di risorse fossili in casa propria. I problemi collegati alla mancata crescita della produzione e delle riserve, che anzi appaiono in calo, sono comuni a tutte le major. E' su questi problemi che si gioca il futuro dell'Eni, di cui lo Stato italiano detiene tuttora il controllo. Ma anche di Edison, ormai saldamente ancorata alla galassia Edf, di cui sta diventando il "pivot gazier".I Paesi produttori, soprattutto quelli medio-orientali, che possiedono le più grandi riserve mondiali di idrocarburi, restano chiusi agli investimenti occidentali. L'Iraq è ancora un'incognita, malgrado la convocazione per oggi a Londra rivolta dal ministro del petrolio Hussain Shahristani a 41 compagnie internazionali, comprese Eni e Edison, per presentare i giacimenti che dovrebbero andare presto all'asta. La Russia ha cominciato ad aprirsi sulla carta e l'Eni ha già acqusito insieme all'Enel posizioni su questo mercato, ma con una legislazione che tende a favorire il gigante di Stato Gazprom, "braccio armato" del Cremlino. I giacimenti di gas si trovano in zone sempre più remote e il loro sfruttamento richiede costi da capogiro e tecnologie all'avanguardia. L'area del Caspio – dove l'Eni ha una robusta presenza in Kazakhstan, nel giacimento super-gigante di Kashagan e in quello di Karachaganak, oltre a un'attività di recente acquisizione in Turkmenistan – richiederà molto più impegno e attenzione da parte dei vertici del gruppo, soprattutto nei rapporti con le autorità locali, con cui il dialogo non è semplicissimo. Senza contare la scommessa delle sabbie bituminose del Congo e del Venezuela, dove l'Eni ha acquisito di recente due importanti concessioni, in competizione con le altre grandi compagnie mondiali. Edison, da parte sua, non sta con le mani in mano: trivella nell'offshore egiziano e nel Deserto Occidentale, diventato ormai il secondo sito egiziano di produzione dopo il Golfo di Suez. E' operatore in Costa d'Avorio e al largo del Senegal. Ha vinto una serie di permessi di ricerca in Norvegia. Va a caccia di gas in Algeria e in Qatar insieme alla spagnola Repsol e all'americana Anadarko. Ha appena inaugurato un rigassificatore in Alto Adriatico, che nel 2010 porterà in Italia i primi 8 miliardi di metri cubi di gas non Eni. Ma l'incertezza rimane. Per l'Italia in particolare, visto che qui il gas regna sovrano: nessun'altra nazione utilizza il metano tanto quanto noi. Da un lato l'80% delle abitazioni è riscaldato a gas, come due ospedali su tre e lo stesso capita negli alberghi. Dall'altro lato, quando premiamo un interruttore della luce è come se aprissimo il rubinetto del gas, perché ormai i due terzi del fabbisogno elettrico è coperto bruciando metano. Ma anche l'Europa sta andando nella stessa direzione: l'80% della nuova capacità elettrica installata nel Vecchio Continente negli ultimi dieci anni è alimentata a gas. L'Europa consuma attualmente quasi il 20% del gas mondiale, nonostante ne produca solo il 7% e abbia meno del 2% delle riserve. Ma nel 2020 la domanda europea di gas sarà cresciuta del 40% rispetto al presente. Le importazioni sono dunque destinate a raddoppiare dagli attuali 300 miliardi di metri cubi l'anno a circa 600 miliardi. Il risultato: una massiccia dipendenza dalle importazioni extra-Ue, che ad oggi rappresentano circa il 60% dei consumi. Da qui la necessità per le utilities di cercare la massima diversificazione dei fornitori, per aumentare l'afflusso ma anche per metterli un po' in concorrenza fra di loro. Tentativo per ora completamente fallito. Il gas che arriva in Italia è quasi solo dell'Eni e anche quello non Eni transita su gasdotti del Cane a sei zampe. Prendiamo il caso della fornitura Gazprom: d'intesa con l'Eni, il colosso russo può vendere direttamente ai consumatori oltre 3 miliardi di metri cubi di gas complessivi per l'anno termico 2007-08. Di questi 1,7 dovevano andare al consorzio A2A-Iride-Hera, 700 milioni a Enìa e Ascopiave e 600 milioni alla svizzera Egl. L'idea era di trasformare la fornitura di breve in lungo periodo e di creare una joint venture per la vendita con i russi, che hanno aperto a Bergamo una controllata, Cea Centrex, guidata da Enrico Grigesi. L'impresa per ora è riuscita solo ad A2A-Iride. Gli altri si sono ridotti a un rinnovo annuale, che Enìa, Ascopiave e Blugas hanno appena firmato, mentre Hera e Egl stanno ancora negoziando. Perché tutte queste difficoltà? Sembra che il problema stia nel prezzo. Invece di finire abbattuto dalla concorrenza, il prezzo fatto da Gazprom alle utilities italiane sarebbe addirittura superiore di quello offerto dall'Eni. Ma allora, dicono Hera e compagne, che liberalizzazione è?
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