Non è solo romantico, è anche utile. Vivere in un guscio di noce di pochi metri quadri, completamente autosufficiente e magari anche mobile, è il sogno di molti. Una casa-zaino come quella delle chiocciole, che ci viene dietro a ogni trasloco e si può posare sul tetto di un grattacielo o su una spiaggia in riva al mare, a seconda delle esigenze del momento, può sembrare un’utopia e invece è una realtà che può consentire ormai a chiunque di azzerare o quasi la propria impronta ambientale.
Micro-abitazioni di questo tipo sono in produzione da sempre, con mezzi artigianali, per i più poveri o per i più ricchi, dalle case galleggianti alle capanne nella giungla. Ma ora la questione si fa seria: con le nuove tecnologie pulite, in grado di produrre energia in loco e stoccarla a piacimento, di far funzionare ovunque una connessione internet e un cellulare, di filtrare l’acqua piovana e riciclare le acque reflue, la voglia di staccare la spina dalla rete e di mettersi in proprio sta diventando uno standard di sostenibilità, capace di sostenere produzioni in serie di modelli prefabbricati. C’è chi vagheggia, addirittura, di modellare in questo modo le città del futuro, come l’architetto cinese James Law, che ha disegnato e prodotto insieme ad Arup il modello AlPod in alluminio e vetro, in vendita a Hong Kong. Altri modelli di micro-abitazioni uscite dalla mente di architetti di grido, come la casa Diogene di Renzo Piano o il LoftCube di Werner Aisslinger, sono meno ambiziosi e decisamente più elitari. Ma in tutti c’è un’aspirazione a ridurre l’impronta ambientale di chi deciderà di andare a viverci.
In questa gara verso la sostenibilità dell’abitare il materiale preferito è il legno, facilmente reperibile a chilometro zero o poco più e sempre riciclabile. Il legno è il materiale di base nel caso di Getaway, prodotta da quattro studenti di Harvard nell’Harvard Innovation Lab, o della casa mobile MiniMod, progettata dallo studio brasiliano MaPa, o nella minimalista Echo, progettata dal designer inglese Sam Booth. Pod Space, dell’architetto inglese Ben Lord, offre un sistema modulare, sempre di legno, che parte da un modulo di 8 metri quadri e può essere ampliato aggiungendo più moduli, mantenendo sempre ferma l’autosufficienza energetica dell’edificio finale. Le sue costruzioni rispondono sia alle esigenze di un uso residenziale che commerciale e sono sempre pensate per restare off-grid.
Ma c’è anche chi sperimenta altri materiali. Le Sustainer Homes, prodotte in serie in tre modelli diversi da una startup olandese fondata da Gert van Vugt, partono dall’idea di riciclare container per offrire alloggi sostenibili a prezzi accessibili ai giovani. L’idea non è nuova, ma in questo caso è sviluppata con grande cura, arricchendo gli interni di materiali attraenti ed ecologici e dotando ogni unità di tutte le tecnologie necessarie per renderla autosifficiente dal punto di vista energetico: il prezzo finale varia a seconda dei modelli, a partire dal più semplice per 40mila euro, che per 30 metri quadri di spazio non è certo una richiesta esorbitante.
In Italia il progetto che si avvicina di più all’ambizione dell’autosufficienza energetica è la casa 100K di Mario Cucinella, un’abitazione completamente ecosostenibile di 100 metri quadri al prezzo di 100mila euro. Si tratta di abitazioni passive a zero emissioni di CO2 e costi realizzativi fortemente ridotti grazie all’impiego di prefabbricazione leggera, attrezzature mobili e pareti scorrevoli.