Le auto del futuro non saranno rumorose, non impesteranno l’aria, non avranno bisogno del guidatore, ma soprattutto… non saranno nostre. Con la crescita delle metropoli e il rapido sviluppo delle tecnologie che facilitano la condivisione, il concetto di auto di proprietà sta tramontando. Già oggi, si legge in “Car Sharing” di Carlo Iacovini (che verrà presentato martedì a Roma nel Forum CityTech) che il 75% dell’umanità gravita sulle aree metropolitane. E nelle metropoli come Parigi o New York meno della metà della popolazione residente possiede un’auto.
L’espansione disordinata dei sobborghi attorno alle città del mondo industrializzato, nata proprio con la diffusione di massa delle automobili, ora sta rientrando e in tutte le città dove i trasporti pubblici funzionano bene possedere una macchina sta diventando un peso inutile. Le autorità cittadine, per di più, non vedono le auto di buon occhio e tentano in tutti i modi di limitarne l’accesso: il traffico in entrata a Londra è calato del 28% tra il 1994 e il 2003, prima ancora della Congestion Charge. Nel 2004, con l’introduzione della tassa, c’è stato un ulteriore calo del 12 per cento. E poi ci sono motivi generazionali: nel Regno Unito, ad esempio, il numero dei giovani tra i 17 e i 19 anni che ha sostenuto l’esame della patente è calato dal 41% nel 2000 al 35% nel 2010 e fra i diciottenni americani di oggi solo il 61% ha la patente, mentre alla fine degli anni Settanta i diciottenni patentati erano l’86%. Fra il ’96 e il 2006, il numero di miglia annuali guidate dai maschi americani quarantenni si è ridotto del 30%. La macchina, dunque, non è più uno status symbol, tanto che una recente ricerca di McKinsey ha appurato una preferenza per il car-sharing fra i cosiddetti Millennials, cioè i ragazzi arrivati alla maggiore età dopo il 2000.
“All’inizio il car sharing era considerato una sperimentazione ambientalista necessaria all’interno delle politiche di restrizione delle città”, spega Iacovini. I numeri erano irrisori, il servizio era organizzato su base artigianale o cooperativa e non poteva certo interferire con gli investimenti milionari delle case automobilistiche. “In Italia per esempio quando il Ministero dell’ambiente finanziò la piattaforma Ics (Iniziativa car sharing), sorsero una decina di operatori locali, prevalentemente società miste pubbliche private che gestivano il servizio con piccole flotte, nell’ordine di 20-30 auto, a parte le grandi città come Milano, Roma e Torino, uniche a superare il centinaio di veicoli”. Molto diversa l’evoluzione negli Stati Uniti, dove il car sharing, saldamente radicato nella cultura del car pooling, è diventato rapidamente un business. Una delle notizie che più di altre conferma questa tesi è l’acquisto di Zipcar nel 2013 da parte di Avis, per quasi 500 milioni di dollari.
In Europa, Daimler è la prima casa automobilistica ad accorgersi di questo nuovo mercato, che da un lato rischia di demolire il suo core business (vendere auto ai privati), ma dall’altro può offrire una nuova opportunità di crescita. Daimler lancia car-2go nel 2008 a Ulm in Germania. “Dopo qualche anno di successi e analisi di mercato, nel 2013 il grande salto: viene costituita Daimler Mobility Services, una controllata con sede a Stoccarda, interamente dedicata a progettare, sviluppare e proporre soluzioni di mobilità per le aree urbane”. Questo, nel mondo della mobilità condivisa, è lo sviluppo più interessante, che riassume tutte le sfide del futuro, sia tecnologiche che sociali. “Nella struttura convergono tutte le attività di car2go mondo, oltre ai servizi offerti dalla app moovel. Quest’ultima rappresenta la piattaforma tecnologica con cui integrare l’intera offerta di mobilità di un territorio (urbano ma non solo), garantendo all’utente la più efficace ed efficiente scelta per muoversi. Non si parla solo di auto: nella piattaforma sono infatti ricompresi i trasporti ferroviari (partner DBahn), i trasporti pubblici locali delle principali città, i servizi di bike rental locali, la piattaforma carpooling.com per condividere i viaggi e le app già esistenti per prenotare e pagare i taxi (My taxi). Senza dimenticare l’ultima avanguardia della mobilità personale: le app per cercare parcheggi, privati o pubblici. Per questo Daimler ha investito in Gotta park, startup californiana che consente di prenotare già 300mila parcheggi nelle città di san Francisco, Seattle, San Diego, Denver, Houston, Boston, Chicago e Miami. Adattato il business model all’Europa ora Daimler lo offre sotto il brand park2gether”. Un pacchetto completo, da proporre ai cittadini delle più importanti aree metropolitane, con l’obiettivo di raggiungere i 100 milioni di euro di fatturato in due anni di attività. L’auto del futuro parte da qui.
@elencomelli