Vetri delle finestre, delle auto o dei cellulari che producono energia. Sembra un’utopia, ma ci stiamo arrivando: le celle solari trasparenti sono la nuova frontiera del fotovoltaico. L’obiettivo è arrivare a uno ‘smart glass’, capace di produrre quanto un tetto fotovoltaico con un semplice strato fotosensibile, da applicare a qualsiasi vetrata di un edificio, ampliando così a dismisura le superfici adatte alla produzione di energia in edilizia.
Il fatto è che per guardare fuori da una finestra o utilizzare lo schermo di un cellulare, il vetro deve lasciar passare almeno una parte della luce. Invece le celle solari tradizionali, che convertono i fotoni del sole in elettroni, devono essere opache, per assorbire tutta la luce possibile e massimizzare l’efficienza: più trasparenti sono le celle, meno energia producono, o almeno è così che funziona la tecnologia a base di materiali semiconduttori come il silicio. L’alternativa è realizzare celle solari da sostanze che assorbano la luce solo a lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano, nella banda infrarossa o ultravioletta dello spettro. Ciò consente alla luce visibile di passare attraverso la cella, rendendola trasparente all’occhio umano.
Ubiquitous Energy, uno spin-off dal Massachusetts Institute of Technology, ha sviluppato celle solari utilizzando materiali organici trasparenti, che assorbono solo raggi ultravioletti e infrarossi, ma sono ancora troppo poco efficienti: l’obiettivo è arrivare al 10%, contro il 20% ormai raggiunto dai pannelli solari tradizionali. Richard Lunt, co-fondatore della società, ora dirige un team di scienziati alla Michigan State University impegnato nell’utilizzo di molecole organiche estremamente piccole, che assorbono lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano e poi emettono raggi luminosi a una diversa lunghezza d’onda. Questi raggi luminosi, a loro volta invisibili, migrano verso il bordo del vetro, dove vengono convertiti in energia elettrica da sottili strisce di celle fotovoltaiche. Con questo sistema, chiamato concentratore solare luminescente trasparente, la maggior parte del vetro resta sgombra da componenti solari. Pur avendo un’efficienza di conversione molto bassa, nell’ordine dell’1-2%, Lunt è già in trattative con i grandi produttori di cellulari per sperimentare il suo prodotto sul vetro di uno smartphone.
Nella gara per l’efficienza, però, il filone più battuto è quello di una famiglia di materiali cristallini, le perovskiti, che potrebbe consentire di arrivare a celle solari semitrasparenti e flessibili, adatte a una produzione relativamente economica, in grandi rotoli. Sulle perovskiti si stanno concentrando molti scienziati, a partire da Michael Grätzel, il fisico tedesco famoso nel settore per aver dato il nome a una cella fotoelettrochimica flessibile, fra le più efficienti del fotovoltaico di terza generazione, ora comunemente usata sugli zaini da viaggio come caricabatteria dei cellulari. Il suo gruppo, nel Laboratory of Photonics and Interfaces del Politecnico di Losanna, ha prodotto celle capaci di convertire il 15% dell’energia dei raggi solari in elettricità, che in base agli ultimi annunci potrebbero essere presto commercializzate dall’australiana Dyesol, con cui Grätzel collabora da anni. Un risultato analogo è stato conseguito dalla Brown University di Providence (Rhode Island), che ha recentemente prototipato un film ultra-sottile a base di cristalli di perovskite con un’efficienza di conversione del 15%.
Ma il più avanzato nella corsa alle celle semitrasparenti è un gruppo di scienziati britannici guidati da Henry Snaith, fondatore di Oxford Photovoltaics, spin-off dell’omonima università. Nei primi tempi l’efficenza di conversione delle celle di Snaith era molto bassa e le superfici si degradavano rapidamente, danneggiate dall’elettrolita liquido che scioglieva la perovskite. Ora il problema è stato risolto e grazie a tecniche già note nelle celle tradizionali l’efficenza del materiale trattato dal gruppo di Snaith continua a raddoppiare, raggiungendo rapidamente livelli paragonabili a quelli di Losanna e oltre. Snaith sostiene che presto le sue celle low-cost potrebbero arrivare a un’efficienza del 20%. L’azienda calcola che se un blocco di uffici di 35 piani a Londra fosse rivestito con le sue celle, potrebbe generare quasi il 60% del consumo energetico dell’edificio. Niente male in un mondo dove il 40% dell’energia elettrica prodotta globalmente serve ad alimentare edifici residenziali e commerciali.