Batteri bioluminescenti per illuminare le nostre notti, plastiche biodegradabili per salvare gli oceani, farine d’insetti per sostituire le proteine animali o laser sbiancanti che permettono di riutilizzare la carta già stampata. Queste e altre tecnologie sostenibili sono state presentate al Cleantech Forum Europe di Lione, dove decine di startup innovative hanno cercato l’anima gemella fra i venture capital presenti, compresa qualche banca italiana. Dalla fotonica all’alimentare, dai nuovi materiali ai big data, la tre giorni di presentazioni ha coperto un po’ tutto lo spettro della sostenibilità futuribile. Passerella eccellente promossa dal Cleantech Group – il più grande network di aziende e investitori nel settore, basato a San Francisco – il forum europeo si tiene ogni anno in una città diversa, con il sostegno degli enti locali. Lione, centro dell’industria chimica francese, ha aperto le porte della sua nuova piattaforma per la chimica verde, Axel’One, che si propone di dare un nuovo impulso alla ricerca collaborativa, con il sostegno delle oltre 500 imprese e 3mila ricercatori presenti nella Valle della Chimica, lungo il Rodano a Sud della città. Da lì sono partite e stanno crescendo tante start-up, come Amoéba, ormai quotata a Euronext, che si occupa di trattamento delle acque industriali con un metodo interamente biologico e atossico.
Fra gli ultimi arrivati presentati a Lione, la più “illuminante” è Glowee, che coltiva batteri bioluminescenti e li propone come alternativa all’illuminazione elettrica per illuminare i parcheggi e gli edifici di notte. “Il mare è in grado di produrre la propria luce naturale grazie alla bioluminescenza presente nelle meduse e in certi pesci, molluschi e alghe – spiega Sandra Rey, fondatrice di Glowee -. Con la nostra tecnologia, che sfrutta il codice genetico di queste creature, riusciamo a produrre luce da una sorgente biologica, utilizzando la bioluminescenza”. La tecnologia di Glowee funziona avvolgendo i batteri all’interno di un guscio trasparente con le sostanze nutritive di cui hanno bisogno per vivere e generare luce. Il risultato sono delle “lampadine” che producono luce senza elettricità. L’azienda francese è una delle prime a sviluppare la bioluminescenza come prodotto commerciale. Mentre in un primo tempo i ricercatori di Glowee sono riusciti a produrre solo pochi secondi di luce, ora riescono ad arrivare a tre giorni e la società spera di prolungare la durata a un mese, oltre a migliorare l’intensità della luce prodotta.
Un’altra start-up lionese, Lactips, è riuscita a produrre plastica biodegradabile a partire dalle proteine del latte. La scommessa di Marie-Hélène Gramatikoff, Fabrice Plasson e Frederic Prochazka, è di inserirsi nel grande mercato dei biomateriali con il loro granulato, che può essere sfruttato nei rivestimenti delle cialde per lavastoviglie, negli imballaggi alimentari e in tutte quelle applicazioni che necessitano una piena biodegradabilità. “A partire dalla caseina produciamo un film molto resistente, che può essere completamente degradato nel giro di 18 giorni”. L’obiettivo è sostituire prodotti che già esistono, ma contengono sostanze inquinanti, arrivando alla commercializzazione nel 2017.
Al mercato alimentare punta anche Ynsect, una società nata sull’onda della rivoluzione degli insetti commestibili. Antoine Hubert e i suoi tre soci vedono il potenziale degli insetti come fonte di cibo sostenibile per la nutrizione umana e animale, ma anche per la chimica verde. Ynsect lavora con diverse specie di insetti – coleotteri, mosche, farfalle, cavallette, grilli – sviluppando tecnologie di allevamento basate sulla robotica e i big data per ottenere rapidamente proteine, lipidi e derivati dalla chitina. Le proteine e i lipidi sono utilizzati nei mangimi (soprattutto per i pesci e il pollame) e nei prodotti alimentari, mentre i derivati dalla chitina servono come additivi ai cosmetici e ai prodotti chimici. Hubert e compagni collaborano con la Fao per promuovere la sicurezza alimentare nel mondo e i loro impianti, pienamente operativi entro quest’anno, forniranno in prima battuta proteine e lipidi al mercato europeo degli alimenti per animali domestici.
Reduse, una start-up inglese presentata a Lione, punta invece al mercato del riciclo, in particolare della carta, con un sistema a dir poco radicale. La tecnologia di Reduse rimuove l’inchiostro dalla carta stampata, producendo fogli bianchi pronti per essere riutilizzati come nuovi. La cosiddetta tecnologia di “unprinting” funziona sparando impulsi laser sul toner, che viene vaporizzato e aspirato via senza danneggiare la carta. Hidde-Jan Lemstra, co-fondatore e ad di Reduse, è convinto che questo sistema sia destinato a ridurre notevolmente l’uso della carta negli uffici. “In media usiamo 10mila fogli a persona ogni anno”, spiega Lemstra, aggiungendo che il 40 per cento di questi fogli sono gettati via lo stesso giorno in cui vengono stampati e l’80 per cento entro una settimana. “I rifiuti cartacei sono enormi e non hanno senso, perché la carta si può riutilizzare”. La tecnologia di Reduse può offrire risparmi del 40% sull’acquisto di carta, limitandosi al riutilizzo di ogni pezzo di carta una sola volta. La tecnologia usata da Reduse è stata sviluppata da un team di ricercatori dell’università di Cambridge, guidato da David Leal, co-fondatore dell’azienda. “Con la nostra tecnologia è possibile rimuovere tutta la stampa da tutta la carta, che sia uscita da una stampante laser o da una fotocopiatrice, in qualsiasi colore”, precisa Lemstra. L’obiettivo ultimo dei ricercatori di Reduse è inserire la propria tecnologia all’interno di una normale stampante, ma in primo luogo la loro missione è di mettere un “unprinter” in ogni ufficio in tutto il mondo. Produttori di carta, siete avvertiti.