Palazzi smontabili e rimontabili per altri usi. Edifici leggeri, realizzati in materiali biologici, a consumi zero. Costruzioni che riutilizzano gli scarti già presenti sul sito. La rigenerazione urbana passa per l’edilizia circolare, che investe in prodotti disassemblabili e riutilizzabili, non più beni rifugio fissi nel tempo ma case flessibili, che si possono modificare all’infinito, a seconda delle esigenze del momento. “La crisi è il nostro alleato, quando le risorse scarseggiano bisogna trovare nuove soluzioni”, rileva Dave Cheshire, direttore della britannica Aecom – leader nella progettazione e costruzione di opere di ingegneria sostenibilie – e autore di “Building Revolutions”, un libro culto in via di preparazione per l’Italia da Edizioni Ambiente, che ha appena pubblicato “L’economia circolare” di Emanuele Bompan, dove si parla anche di questo. Cheshire ha spiegato i principi di questo nuovo modo di costruire, già sperimentato in diversi Paesi del Nord Europa, a REbuild 2016, l’evento dedicato all’innovazione nell’immobiliare, che si è svolto questa settimana a Riva del Garda e tornerà a Milano in ottobre.
Da tempo si cerca di applicare anche all’edilizia un approccio industriale, in cui la prefabbricazione viene abilitata da una potente infrastruttura di ingegneria digitale. Questi percorsi stanno facendo emergere una serie di ambiti nuovi per l’industria delle costruzioni: logistica, produzione agile, assemblaggio e manutenzione, manifattura digitale, robotica e realtà aumentata. Diverse grandi imprese europee stanno esplorando la possibilità non solo di progettare con maggiore standardizzazione e prefabbricazione, ma anche di produrre edifici “a chilometro zero” in capannoni vicino al cantiere, nei quali temporaneamente viene svolto l’approvvigionamento ed assemblaggio.
Per applicare i principi dell’economia circolare al mondo delle costruzioni bisogna però progettare “a strati”, partendo dal cantiere invece che dal disegno dell’edificio. Solo così, secondo Cheshire, si riesce a costruire tenendo presente l’adattabilità futura e i processi di disassemblaggio, minimizzando gli sprechi e selezionando materiali e componenti in funzione delle opportunità di approvvigionamento. Parliamo di una vera e propria rivoluzione del pensiero che deve coinvolgere l’industria: lo scarto deve essere ridefinito come una risorsa di valore e gli edifici devono diventare delle “banche di materiali” per le future generazioni, come nel caso di Park 20/20, un nuovo quartiere commerciale alle porte di Amsterdam, costruito in base ai principi “cradle to cradle”.
Il progetto è frutto di un’idea di Coert Zachariasse, fondatore di Delta Development, che nel lontano 2004 si è inserito nella dismissione di uno stabilimento Fokker, salvando materiali di pregio prima che andassero sprecati attraverso pratiche di demolizione convenzionali, e li ha riutilizzati quattro anni più tardi nel nuovo quartiere. Zachariasse ha ribaltato l’intera procedura di gara, instaurando un rapporto diretto con i fornitori e offrendo loro il raddoppio dei margini di profitto in cambio di una trasparenza totale sui costi. “Rovesciando il tradizionale percorso di approvvigionamento, in cui i fornitori presentano un’offerta dopo che tutte le decisioni di progettazione sono state già prese, Zachariasse ha portato i progettisti a collaborare con i produttori, per creare soluzioni innovative che utilizzano meno materiali, pur fornendo soluzioni di qualità”, racconta Cheshire. Così facendo, i tempi di costruzione sono stati drasticamente accorciati, portando a risparmiare il 18% sul costo finale del progetto.
Un altro esempio innovativo di economia circolare applicata alle costruzioni è il caso dell’Enterprise Centre nel campus di Norwich dell’University of East Anglia, che ospita un grande laboratorio, un teatro da 300 posti, una serie di aule e un incubatore per start up. L’idea più innovativa di Architype, società leader nella progettazione di case passive, è stato l’utilizzo di paglia per rivestire l’edificio, in sintonia con le tradizioni locali. La paglia è stata compressa in moduli prefabbricati fissati ad incastro, che forniscono un ottimo isolamento e fungono da schermo contro la pioggia. La paglia è semplice da riparare o sostituire e poi può essere compostata. I progettisti hanno lavorato a stretto contatto con il costruttore, Morgan Sindall, selezionando materiali di provenienza locale, naturale e biodegradabile anche per il resto del progetto. Composto all’80% di materiali biologici, la maggior parte dell’edificio potrà essere restituita alla biosfera alla fine della sua vita, calcolata in cento anni, con un quarto delle emissioni di un edificio universitario convenzionale di pari dimensioni.
Nella stessa ottica di flessibilità lavora anche lo studio olandese XX Architecten, specializzato nella progettazione di edifici smontabili, che poi possono essere riutilizzati per scopi diversi o dismessi, permettendo ai materiali di tornare alla biosfera. Villa Camera, oggi parte del Media Park di Hilversum, è un raro esempio di edificio completamente smontabile, che è già arrivato alla sua terza vita. Nella sua prima vita, l’edificio era stato realizzato come Casa dell’Arte per i bambini a Rotterdam: era stato progettato con un sistema modulare per avere una durata di cinque anni, con la possibilità di essere ampliato o ridotto, a seconda delle necessità. Dopo cinque anni è stato smontato e le componenti sono stati immagazzinate, per ritornare in pista due anni dopo. Gli stessi elementi sono stati utilizzati in una combinazione diversa, come Villa Nutcracker, per ospitare una scuola a Hoogvliet. Nella terza reincarnazione, quella attuale, Villa Nutcracker è stata smontata e ricostruita in tre nuove unità. Una sezione della parte inferiore dell’edificio è diventata una piccola scuola, un’altra sezione è stata aggiunta a una struttura portuale, per diventare una scuola per artisti a Rotterdam, e la parte rimanente è ospita le macchine fotografiche del Media Park a Hilversum.
Costruzioni flessibili, da cui si possano recuperare componenti e materiali, in ultima analisi sono molto più adeguate a un mondo che cambia rapidamente e dove ormai gli edifici non sono più eterni, ma devono essere rinnovati o addirittura sostituiti a pochi decenni dalla realizzazione. Solo così potremo lasciare un’impronta leggera su un pianeta già troppo sfruttato.