Mettere il sole in scatola non è un’impresa facile. L’orizzonte è ancora lontano per la fusione nucleare, l’alternativa verde alla contestata fissione, ma a Cadarache, nel Sud della Francia, cominciano proprio in questi giorni dei test fondamentali per la costruzione della macchina centrale di Iter, il “cammino” lungo il quale dieci anni fa si sono avviati sette partner internazionali (Usa, Ue, Cina, India, Giappone, Russia, Corea) per arrivare all’energia inesauribile e pulita.
Iter è un cilindro alto 30 metri e con un diametro della stessa dimensione. Lì dentro un plasma verrà riscaldato fino a raggiungere 150 milioni di gradi (dieci volte più del nucleo del Sole) e si produrrà un campo magnetico 20mila volte più forte di quello terrestre. Le sperimentazioni saranno avviate in una macchina più piccola, chiamata West (Tungsten Environment in Steady-State Tokamak, essendo W il simbolo chimico del tungsteno), dove “le particelle cariche sparate all’interno saranno riscaldate fino a cento milioni di gradi e forti campi magnetici saranno impegnati a guidarle, tenendole lontane dalle pareti”, spiega Jérôme Bucalossi, capo del progetto. Tokamak è un acronimo russo (è stata la fisica sovietica a costruire i primi tokamak) che significa “camera toroidale e bobina magnetica”.
L’obiettivo finale è riprodurre in modo controllato sulla Terra quanto avviene nel cuore delle stelle: la fusione di nuclei leggeri per rilasciare energia, che poi si recupera per produrre elettricità. Nelle stelle la luce e il calore sono il risultato delle reazioni di fusione: i nuclei degli atomi di idrogeno si scontrano sotto la spinta della forza gravitazionale e si fondono in atomi di elio più pesanti, liberando grandi quantità di energia. Proprio il processo che si svilupperà nel “tokamak”, con la differenza che la pressione della forza gravitazionale sarà sostituita da fortissimi campi magnetici. Il processo è nucleare, ma opposto a quello dei reattori esistenti, dove si provoca invece la rottura di nuclei di uranio in nuclei più leggeri, innescando una reazione a catena che produce energia. A differenza della fissione, con la fusione non si producono rifiuti radioattivi ad alta intensità o utilizzabili per scopi militari. Una catastrofe come Fukushima sarebbe impossibile: il plasma se disturbato si raffredda in pochi secondi. Il punto delle sperimentazioni attuali è proprio capire come si fa a “disturbare” il plasma il meno possibile, in modo che il processo continui all’infinito, oltre i miseri 400 secondi raggiunti fino ad oggi.
West è una “ciambella” vuota con le pareti interne foderate di tungsteno, troppo piccola per soddisfare le condizioni per la fusione vera e propria, ma abbastanza grande per testare la tenuta delle pareti di tungsteno. Riscaldando le particelle ad altissime temperature, le pareti saranno sottoposte a un durissimo stress, anche se sono protette da campi magnetici. “Come le pareti di una navicella spaziale che si avvicina al Sole”, spiega il direttore del Magnetic Fusion Research Institute, Alain Bécoulet. Inoltre, dalle particelle ci si attende la fuoriuscita di materiale, una sorta di “cenere” che unendosi alla zuppa centrale del plasma tende a raffreddarlo, contribuendo quindi all’estinzione della “fiamma”. Per mantenere la fiamma pura, bisogna riuscire a evacuare le ceneri “parassite”, con l’aggiunta di campi magnetici che le guidino verso un’uscita.
Il pezzo del tokamak che serve per la raccolta di queste ceneri si chiama deviatore. Il suo principio è già stato testato con successo, ma finora sono state utilizzate pareti di carbonio e si dà il caso che il carbonio attiri come una spugna le particelle di trizio, uno dei preziosi ingredienti del plasma. L’idea è dotare Iter di deviatori di tungsteno, che non attirano trizio. L’obiettivo di West è controllare l’effetto di questo materiale sul controllo del plasma centrale. “Il deviatore è l’elemento più critico di un tokamak”, precisa Alain Bécoulet. Dopo il controllo magnetico del plasma, è questa la seconda sfida della tabella di marcia per la realizzazione di Iter. Il deviatore di Iter sarà assemblato in 54 “cassette” di 10 tonnellate ciascuna. West utilizza le stesse componenti, ma solo con quattro metri di diametro (contro i dodici di Iter). Per arrivare a questo risultato sono stati necessari tre anni di lavoro, 25 milioni di euro e la collaborazione con 87 aziende.
A poche centinaia di metri di distanza da West si stagliano altissime le gru di Iter, ma il montaggio del reattore non è ancora iniziato. La costruzione, che ha già accumulato 10 anni di ritardo, dovrebbe essere completata nel 2025, secondo l’ultima riunione del consiglio direttivo. Salvo imprevisti come la Brexit o le bizze della nuova amministrazione americana. Il costo totale è difficile da stimare, perché i partecipanti non si impegnano su un bilancio finale, ma solo per le consegne di tutte le parti della macchina si superano i 20 miliardi di euro. È difficile raggiungere le stelle.