Maxi turbine da fantascienza per catturare il vento dal mare

Per ora è una vasta distesa di acqua
grigio-blu a cento chilometri dalla costa inglese, poco salata e
molto pescosa, nota per essere stata l'epicentro, nel 1931, del più
grave terremoto che abbia mai colpito il Regno Unito, causa del
distacco della testa di Charles Dickens nel museo delle cere di
Madame Tussauds. Prima, fino all'ultima glaciazione del Pleistocene,
il Dogger Bank era un'isola grande quasi come la Sardegna e c'è chi
la identifica con il regno della mitica Atlantide. Se fosse vero,
però, i suoi abitanti non sarebbero estinti, perché l'isola non è
sprofondata di molto: a seconda delle zone, qui l'acqua è alta
10-15, massimo 30 metri. Perfetta per un campo eolico offshore.
Questo è il futuro del Dogger Bank: una distesa grigio-blu vasta
quasi quanto la Sardegna, disseminata di mega-turbine da 6 o 7
megawatt, alte più o meno 180 metri, con un'apertura alare di 150. I
gabbiani dovranno stare in guardia. Il mare di pale sarà il più
grande del mondo e alla fine avrà una capacità complessiva di 9
gigawatt, come dire tutta la potenza eolica installata in Italia e
ancora un bel po' di più. La gara d'appalto è già stata vinta da
un consorzio guidato dalla tedesca Rwe e i lavori cominceranno l'anno
prossimo, ma le turbine non sono ancora state ordinate. Tutti i
grandi dell'eolico si stanno preparando alla corsa: Siemens, la
grande vincitrice delle ultime gare offshore, ha appena avviato a
Østerild, in Danimarca, i primi test per la sua mega-turbina da 6
megawatt e sempre qui dovrebbero partire fra qualche mese i test per
il nuovo bestione di Vestas, che avrà una potenza di 8 megawatt,
mentre Alstom è già partita qualche mese fa sulla costa atlantica
con i test per la sua nuova nata Haliade, ad oggi la più grande del
mondo. Questi prototipi e altri ancora rappresentano il futuro
dell'eolico, a giudicare dalla rapidità con cui cresce l'offshore,
ultimo arrivato sul mercato del vento e già in corsa per raggiungere
la competitività con i combustibili fossili, a colpi di economie di
scala.

London-array

Dogger Bank è solo un pezzo della
grande rivoluzione eolica offshore, che cambierà radicalmente il
panorama della generazione e della trasmissione elettrica nell'Europa
di domani, con tutte le ricadute tecnologiche ed economiche del caso.
Un mercato che nel 2009 aveva poco più di 2 gigawatt installati,
oggi ne ha 5 e prevede di arrivare a 40 gigawatt nel 2020 e 150 nel
2030, è chiaramente in corsa verso un salto di qualità. Qual è il
segreto? Niente di sconvolgente: solo l'innovazione incrementale e il
ritmo serrato del progresso. "La dimensione sempre più ampia
delle turbine e l'intelligenza crescente dei sistemi di telegestione
stanno comprimendo rapidamente i costi di produzione dell'eolico
offshore, che può approfittare di venti più forti e più costanti
rispetto all'eolico onshore", spiega Morten Albaek, vice
presidente di Vestas, leader mondiale dell'eolico con 46mila turbine
installate in 69 Paesi del mondo. E' proprio questo il senso di una
mega-turbina da 8 megawatt: considerando più o meno pari i costi
d'installazione e di allacciamento, una macchina più grande produce
più energia dalla stessa quantità di vento. La V164, progettata
inizialmente per una potenza da 7 megawatt, è stata convertita a 8
strada facendo: le pale, lunghe 80 metri, sono in via di realizzzione
nello stabilimento Vestas sull'Isola di Wight nel corso di questo
trimestre, mentre il generatore sarà pronto per i test all'inizio
del 2013. Nel centro di collaudo centrale di Vestas a Aarhus, il più
grande del mondo, è stata costruita un'ala nuova apposta per testare
la nuova macchina, sottoponendola alle peggiori nefandezze in modo da
essere sicuri della sua resa in mezzo al mare.

Da qui, nell'avvenieristico centro
diagnostico, i tecnici di Vestas seguono tutte le turbine installate
in giro per il mondo: grazie ai milioni di dati raccolti in 35 anni
d'impegno al servizio del vento e a una modellistica specifica, basta
un lieve riscaldamento dell'olio lubrificante negli ingranaggi di una
turbina per far accendere una lucina rossa e far scattare un
intervento anche a migliaia di chilometri di distanza. "Pochi
giorni fa abbiamo scoperto un'anomalia in una turbina in mezzo al
canale della Manica, che alla lunga avrebbe causato un guasto grave",
spiega Matthew Whitby, portavoce di Vestas. "Ma per prevenirlo è
bastato sostituire un bullone e così abbiamo evitato il fermo
turbina", precisa. In questo modo si riduce al minimo la perdita
di ore di vento e si comprimono sempre di più i costi di produzione,
aumentando il rendimento complessivo degli impianti eolici.

Restano i consueti problemi di tutte le
fonti rinnovabili: l'intermittenza, la difficoltà di immagazzinare
l'energia prodotta, la distanza dai centri di consumo, che comporta
lunghe e costose linee di trasmissione. Ma con le economie di scala e
le turbine intelligenti diventa sempre più attraente il vantaggio
offerto da una fonte gratuita e pulita come il vento, che consente di
affrancarsi dalla dipendenza energetica dall'estero. Non a caso, per
Bloomberg New Energy Finance l'eolico onshore ha già raggiunto la
piena competitività con i combustibili fossili nelle posizioni più
favorevoli, in particolare in Italia, Portogallo, Regno Unito,
Canada, Brasile e Argentina. Per l'eolico offshore, che comporta
costi d'installazione e di allacciamento più alti, ci vorrà ancora
un po' di tempo. Stefan Linder, analista di Bloomberg, prevede la
parità al 2016. Ma a giudicare dai ritmi di crescita della
dimensione delle pale e dalla rapida evoluzione della tecnologia,
potrebbe essere anche prima.

Nel quartier generale di Vestas,
proteso verso il mare nel Nord della Danimarca, gli occhi brillano a
tutti quando si parla di Dogger Bank: è là che questi pionieri del
vento vedono il proprio futuro. Dei mega-progetti eolici in via di
realizzazione nel Mare del Nord, quelli inglesi sono i più
ambiziosi. Londra ha pianificato e sta mettendo all'asta nove zone
dove realizzare 32 gigawatt complessivi di potenza eolica offshore,
largamente sufficienti a soddisfare i consumi elettrici di tutte le
famiglie britanniche. I primi fuochi della rivoluzione già si
vedono: London Array, alla foce del Tamigi, ad oggi il più grande
campo eolico offshore del mondo, ha immesso in rete il primo
kilowattora lunedì scorso dopo appena un anno e mezzo di lavori: le
175 turbine Siemens da 3,6 megawatt produrranno una quantità di
energia elettrica sufficiente a soddisfare il fabbisogno di mezzo
milione di famiglie. Di campi eolici analoghi, una volta quasi
impensabili, ce n'è altri quattro in costruzione al momento, uno al
largo del Galles, due al largo della costa tedesca del Mare del Nord,
al confine con l'Olanda, e uno al largo della costa danese, non
lontano da Aarhus. Altre grandi installazioni sono in via di
realizzazione al largo della costa belga e francese e se ne prospetta
una gigantesca al largo della costa baltica della Svezia.

Un bel salto rispetto agli albori
dell'eolico, quando Vestas lavorava in segreto alle sue prime
turbine, negli anni Settanta, per timore di coprirsi di ridicolo con
una tecnologia inefficiente. Karl Erik Joergensen, il fabbro danese
che ha dato un impulso fondamentale allo sviluppo delle moderne
turbine, realizzando con l'aiuto di Vestas il primo prototipo del
rotore a tre pale, molto simile a quelli che usiamo oggi, non
crederebbe ai suoi occhi. La sua prima macchina funzionante,
installata nel '79, aveva un rotore da 10 metri e una potenza di 30
kilowatt. Henrik Stiesdal, il ragazzo che allora lo aiutava, oggi è
il Chief Technology Officer di Siemens Wind Power. E con le sue
turbine è diventato una delle forze propulsive nella rivoluzione
offshore del Mare del Nord.