Vivere low cost

Il consumatore si fa sempre più attento. Compra poco e soprattutto "low cost". E' il trionfo dell'unbranded, categoria multiforme e difficile da incasellare, composta da varie correnti di pensiero, tutte accomunate dal taglio dei costi di marketing per offrire prodotti equivalenti a quelli tradizionali ma meno cari. Dal farmaceutico agli alimentari, dall'elettronica al trasporto aereo e perfino ai servizi finanziari, le scorciatoie pagano: il salto del budget pubblicitario o di un passaggio nella catena distributiva ha portato all'ascesa rapidissima di piccole aziende flessibili e determinate, che mettono sempre più in difficoltà i marchi consolidati. "Ma attenzione, non è un fenomeno di natura congiunturale – spiega il sociologo Enrico Finzi, presidente di Astra Demoskopea – e non va messo in relazione con la crisi dei consumi. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, in cui diversi fenomeni s'incrociano e interagiscono, portando i consumatori a rifiutare le grandi marche e a trovare soluzioni alternative". Basta guardare il settore farmaceutico. Il valore al dettaglio dei farmaci generici a livello mondiale è ormai di circa 62 miliardi di dollari, pari al 13% del mercato complessivo. Ma nel prossimo triennio questa tipologia di medicinali, prodotti con i principi attivi dei farmaci griffati a cui è scaduto il brevetto, dovrebbe lievitare del 10% all'anno, anche perché nei prossimi anni diventeranno off-patent una serie di molecole importanti, che aumenteranno il potenziale mercato dei generici di 19 miliardi di dollari. La crescita tumultuosa dei generici sta già mettendo in grave difficoltà le major della sanità e scatenando un'altra ondata di concentrazioni nel settore: l'esempio più recente è il tentativo della svizzera Novartis di fondersi con la franco-tedesca Aventis, che creerebbe un gigante mondiale secondo soltanto a Pfizer. Leader globale dei generici è Teva, azienda farmaceutica israeliana con un giro d'affari di 3,3 miliardi di dollari nel 2003, seguita da Sandoz, Watson, Mylan, Ivax, Merck. L'Italia è principalmente coperta da Dorom, Doc, Eg e Ratiopharm, seguite da Merck, Sandoz e Teva. Già oggi in Nord America, Regno Unito e Germania i generici rappresentano oltre un terzo del mercato farmaceutico, mentre l'incidenza scende molto in Francia (8%), Spagna (6%) e Italia (3%). La loro forza, naturalmente, sta nel prezzo, mediamente inferiore del 65% rispetto al farmaco originale. Ma sulla loro diffusione incidono molto le condizioni regolatorie e il livello di concorrenza vigente nei vari Paesi: il ritardo dell'Italia sui brevetti, ad esempio, ha molto compresso lo sviluppo di questo mercato. "Il trionfo dell'unbranded – commenta Finzi – discende soprattutto da quattro fattori: da un lato la sensazione che le marche tradizionali non offrano necessariamente una migliore qualità rispetto, ad esempio, ai prodotti marchiati dalla grande distribuzione; in secondo luogo le esperienze negative che fanno perdere legittimità alle grandi marche (come quella recentissima dell'acqua minerale Dasani nel Regno Unito, dove la Coca-Cola imbottigliava l'acqua di rubinetto filtrata vendendola a due sterline al litro, ndr); in terzo luogo una forma di dandysmo dei consumatori, che comprano prodotti taroccati per spirito di contraddizione; infine la necessità di scegliere prodotti meno cari per non rinunciare a determinati consumi in tempi di crisi". La diffusa inadeguatezza da parte dei marchi tradizionali a cogliere la natura permanente del fenomeno, naturalmente, aggrava la loro situazione. Non a caso in Europa i marchi del distributore (in gergo private-label) occupano ormai un quarto del mercato dei prodotti di largo consumo. Venduti nelle grandi catene di supermercati con il marchio del rispettivo distributore – da Carrefour a Esselunga, da Coop a Conad – i prodotti private-label non hanno bisogno di marketing perché basta esporli bene sugli scaffali e appendere qua e là qualche annuncio negli stessi supermercati. Quindi costano meno degli altri. E la qualità non solo è equivalente, ma spesso addirittura identica, visto che diverse grandi marche – da Kraft a Nestlé, da Kimberly-Clark a Unilever – producono entrambe le tipologie, che finiscono poi magari sullo stesso scaffale con etichette diverse. E prezzi assai lontani. Non c'è quindi tanto da stupirsi se gli spaghetti Barilla o lo yogurt Parmalat sembrano perfettmanete equivalenti ad analoghi prodotti marchiati Carrefour o Coop. Magari vengono dal medesimo stabilimento. Stesso discorso vale per l'elettronica, dove i pc assemblati e le cartucce per stampanti rigenerate ormai la fanno da padroni. Con quasi 220mila pc venduti nel 2003, ad esempio, Computer Discount è ormai il primo produttore italiano di desktop, che malgrado l'avvento di notebook e pda mantengono pur sempre un ruolo preminente come piattaforma d'uso in questo settore. E altri esempi si potrebbero fare: dai viaggi no frills (cioè senza fronzoli), volando a costi bassissimi e acchiappando le offerte dell'ultimo minuto, alla musica online. Quando il gioco si fa duro, vincono i creativi.

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