E’ il mercato che traina il laboratorio

Di norma il trasferimento tecnologico parte da un' idea, dall' applicazione di una scoperta scientifica, che si trasforma poi in impresa e infine fa i conti con il mercato. «Ma così si va nella direzione sbagliata: per essere davvero efficaci bisogna partire dall' analisi del mercato e poi soddisfare la domanda d' innovazione indirizzando le ricerche là dove servono per battere la concorrenza, oppure per sfruttare un' area di grandi opportunità». Gian Nicola Babini, direttore dell' Istituto di scienza e tecnologia dei materiali ceramici di Faenza, fiore all' occhiello del Cnr, è un uomo del «fare». Il suo istituto non si appoggia a un' università come gli altri: «Qui abbiamo le imprese», dice. E tanto basta. Anzi, visto che non c' è, l' università la fa lui, ospitando il corso di laurea in chimica dei materiali dell' Università di Bologna e alimentando così il gioco di sponda tra formazione e impresa tipico di un distretto opulento come quello delle piastrelle. Nell' area dei materiali tradizionali, che partono dall' argilla e trovano applicazione nell' edilizia, la domanda d' innovazione non manca: un tempo ci volevano 5 giorni per cuocere una piastrella, oggi 5 minuti. «C' è un' agguerrita concorrenza estera – spiega Babini – bisogna mantenersi un passo avanti agli altri». Tutt' altra musica sui materiali avanzati di sintesi, che godono di straordinarie prospettive e del massimo impegno nell' istituto di Faenza, ma di scarsissima attenzione da parte delle imprese: «Le applicazioni sono vastissime, dai sensori alle navette spaziali, ma questi materiali ceramici vengono usati in forma miniaturizzata all' interno di dispositivi più complessi, prodotti da quella grande industria che in Italia non esiste più. Così siamo finiti a stringere un accordo con i giapponesi, e abbiamo fondato a Kyoto un Istituto di ricerca per le nanoscienze, per poter usare le loro apparecchiature avanzatissime. Da questi studi nascerà uno spin-off insieme a StMicroelectronics e al Centro Sviluppo Materiali di Roma», racconta Babini. Ma nel Cnr questa non è l' unica storia di successo, fa notare Enrico Drioli, uno dei massimi esperti mondiali di tecnologia delle membrane e direttore dell' omonimo istituto, con sede a Cosenza. «I campi di applicazione consolidati sono nel lattiero-caseario, vitivinicolo, farmaceutico, ma si stanno aprendo prospettive enormi, dalle celle a combustibile agli organi artificiali». L' istituto di Drioli, che ha appena fondato un centro di ricerca sino-italiano sulla tecnologia delle membrane a Pechino, lavora quasi esclusivamente con finanziamenti privati e trasferisce il suo know-how a una miriade di piccole e medie imprese. «Il problema – spiega però Luciano Caglioti, ordinario di chimica alla Sapienza e consulente del Cnr – non è certo il know-how da trasferire, ma la domanda che manca». A questo squilibrio cerca di dare risposta l' Area di ricerca di Trieste, uno dei principali parchi scientifici d' Europa: con il Sincrotrone, il laboratorio Tasc (Tecnologie avanzate e nanoscienze), la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa), il Centro di fisica teorica e l' Università, la città vanta una concentrazione di ricerca scientifica di 40 ricercatori per ogni mille abitanti, 10 volte superiore alla media italiana, ma non abbonda di imprenditorialità. «Cerchiamo di usare questa massa critica di ricerca multidisciplinare per attirare le imprese interessate all' innovazione, soprattutto nei due settori in cui siamo più all' avanguardia, la medicina molecolare e le nanotecnologie», spiega Maria Cristina Pedicchio, presidente dell' Area. Proprio da questi settori derivano gli spin-off di maggior successo: da Lay Line Genomics, famosa per aver prodotto un topo transgenico utilizzato per combattere l' Alzheimer, a Ape Research, unico produttore italiano di microscopi a sonda. «Dalla nostra università sono stati depositati ben 9 brevetti in un anno, un ritmo molto elevato rispetto alla media italiana», commenta Domenico Romeo, rettore dell' ateneo triestino. In funzione di stimolo all' imprenditorialità, l' attenzione per la proprietà intellettuale verrà presto affiancata dalla partecipazione dell' università di Trieste al Premio per l' innovazione, partito dall' università di Bologna insieme al Politecnico di Torino, quello di Milano, alle università di Padova e di Udine e destinato ad allargarsi quest' anno a una dozzina di atenei. «Visto il successo dell' ultima edizione, stiamo tentando il networking anche a livello internazionale», precisa Vincenzo Pozzolo del Politecnico di Torino, presidente dell' incubatore che organizza il premio Galileo Ferraris. Pozzolo ha portato l' esperienza italiana a Cambridge, al congresso di tutte le competizioni mondiali di questo genere, concorsi fra idee imprenditoriali hi-tech premiate anche in base al realismo dei business plan. Nel caso italiano, i vincitori dei concorsi organizzati dagli incubatori dei 5 atenei si sono misurati fra loro per la prima volta l' anno scorso: Optimus, apparecchio per il trattamento di patologie dell' occhio con il laser, realizzato all' università di Udine, ha vinto il primo premio. I progetti capaci di superare la selezione sono poi sostenuti anche nell' ambito della fondazione Torino Wireless, che ha il compito di valorizzare le start-up più meritevoli. Sperando che prima o poi scocchi la scintilla e una di loro cominci a correre.

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