Liberalizzazione, indietro tutta

Liberalizzazione, indietro tutta. Stretto fra l'incudine del caro-greggio e il martello della scarsa competizione, il mercato libero dell'energia muore stritolato. E il ministero dell'Economia, che con una mano mette in vendita da oggi la terza tranche di Enel, con l'altra si assicura la pace sociale rimandando di un trimestre i rincari sulle tariffe per le famiglie. Ma intanto la bolletta elettrica sta diventando una questione di vita o di morte per migliaia di italiani. Nel Sulcis, milleduecento buste paga sono appese da mesi al filo del costo dell'energia: la più importante azienda italiana trasformatrice di piombo e di zinco, la Portovesme, fatica a star dietro alla concorrenza mondiale con una bolletta elettrica doppia rispetto ai rivali spagnoli e quasi tripla di quelli tedeschi. Gli utenti domestici, invece, pagano tariffe ragionevolmente vicine alla media europea, che privilegiano i consumi molto bassi – come quelli dei single che mandano le camicie in lavanderia – e penalizzano le famiglie numerose. Uno strabismo tariffario che alla lunga non conviene né agli uni né agli altri. Già oggi, tra gli utenti che hanno scelto il mercato libero serpeggia l'inquietudine e qualcuno confessa la tentazione di tornare al mercato vincolato. Se questo accadesse, la liberalizzazione italiana sarebbe fallita. E le conseguenze, dalla fuga degli investimenti alla perdita di competitività, ricadrebbero su tutto il Paese, famiglie comprese. "Per ora riusciamo a reggere perché l'acciaio vende bene – commenta Antonio Gozzi, a.d. del gruppo Duferco e presidente dell'Associazione italiana elettrosiderurgici – ma sui contratti per l'anno prossimo, in discussione in questi giorni, si profilano aumenti del 20%, che si assommeranno ai rincari del 10% sofferti quest'anno. Considerando che la bolletta elettrica rappresenta il 25-30% dei nostri costi produttivi, non c'è da stupirsi se la siderurgia italiana, seconda in Europa dopo quella tedesca, abbandona il campo per produrre sempre di più all'estero, con conseguente perdita di posti di lavoro". Analogo grido di dolore viene dalle piccole e medie imprese: non divorano energia come l'industria siderurgica, ma la bolletta la pagano anche loro. E non fanno mistero di considerarla una delle ragioni principali per cui la delocalizzazione conviene. I grossisti, che hanno appena ricevuto le offerte di Enel per il 2005, si torcono le mani: dai 52 euro a megawattora di quest'anno, l'ex monopolista è passato a chiederne 62 per l'anno prossimo, il 16% abbondante in più. Carlo Tortato, presidente del Consorzio Unindustria Multiutilities, che acquista altrove l'energia per le imprese della provincia di Treviso, prevede "almeno una stangata del 10-12%". E' fra i più fortunati. Risultato: tutti gli svantaggi si accumulano su chi ha scelto la strada del mercato libero, già un'infima minoranza di 20-25mila utenti consumatori rispetto alla grande platea del mercato libero potenziale, da luglio arrivato teoricamente alla soglia di 7 milioni. Mentre gli utenti vincolati per ora si salvano sotto l'ala protettrice dell'Authority. Ma non per molto. Con l'attuale mix italiano di combustibili – frutto di gravi errori strategici compiuti al tempo del monopolio – ogni dollaro in più sul barile di greggio fa aumentare il costo di generazione di un euro, producendo con un aggravio di almeno il 2% sui prezzi lordi del megawattora, quasi il doppio rispetto al Regno Unito, due volte e mezzo la Spagna, oltre sei volte la Germania, oltre 12 volte la Francia nuclearista. E allora com'è possibile che in un'annata in cui il greggio prezzo del petrolio è aumentato del 40%, il prezzo amministrato dell'energia sia sceso dello 0,4%? Com'è possibile che nell'ultimo trimestre dell'anno l'Authority di Alessandro Ortis abbia alzato le tariffe solo dello 0,7%, quando tutti gli operatori si attendevano rincari ben più salati? "E' un miracolo – ha detto il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano" – contenere le bollette in questo limite, molto al di sotto del tasso d'inflazione". Il miracolo di cui parla Marzano ha un nome e un cognome: si chiama Nando Pasquali, presidente e a.d. dell'Acquirente Unico, la società creata dal Grtn che da qualche mese è subentrata a Enel per garantire le forniture del mercato vincolato. Il contenimento delle tariffe per il mercato vincolato dipende dalle operazioni di trading su energia Cip6 attuate da Pasquali nel primo trimestre dell'anno e dall'assegnazione diretta della convenientissima energia francese disponibile su base giornaliera, che prima veniva messa correttamente all'asta fra tutti gli operatori. In questo modo, al momento di stabilire le tariffe per il trimestre in corso, il responsabile degli acquisti per il mercato vincolato si è trovato in tasca – toh! – ben 84,7 milioni di euro, che ha buttato zitto zitto sulla bilancia per contenere i rialzi. Operazione una tantum del tutto legittima, ma molto poco pubblicizzata. Il che ci rimanda all'antico dirigismo energetico – quando il governo tamponava l'emergenza prendendo dall'uno per trasferire all'altro senza dare spiegazioni – incompatibile con le regole di trasparenza e con l'esigenza di certezze del mercato libero. "Per consentire agli operatori di fare le valutazioni necessarie alla stipula dei contratti 2005 e al buon funzionamento del mercato libero, è essenziale che le informazioni 'sensibili', come le assegnazioni asimmetriche di energia Cip6 o d'importazione, ma anche il quadro tariffario che l'Authority ha in mente, siano rese tempestivamente disponibili al mercato", ammonisce Antonio Urbano di Dynameeting, grossista indipendente. Resta da chiedersi che cosa succederà l'anno prossimo alle bollette delle famiglie, dopo questa provvidenziale abbondanza di mezzi, scoperta con sei mesi di ritardo proprio al momento giusto. C'è chi prevede rincari del 10-15%. “E' presto per fare previsioni”, risponde lapidario Alessandro Ortis.

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